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In auto con le pistole prima di un omicidio? In tre scarcerati per scadenza dei termini di custodia 

Tuttavia il gip del tribunale di Palermo ha firmato un nuovo provvedimento con cui impone a tutti il divieto di dimora in provincia di Agrigento

Pubblicato 3 ore fa

I tre indagati fermati lo scorso gennaio a Porto Empedocle a bordo di un’auto con due pistole pronte a sparare, forse prima di commettere un omicidio, lasciano il carcere. Si tratta di Andrea Sottile, 26 anni, Simone Sciortino, 23 anni, e Antonio Guida, 19 anni. Sono scaduti oggi, infatti, i termini di custodia cautelare. Tuttavia il gip del tribunale di Palermo Antonella Consiglio, ritenendo ancora sussistenti le esigenze da tutelare, ha firmato un nuovo provvedimento con cui impone a tutti il divieto di dimora in provincia di Agrigento.

E non è un caso che a firmare la nuova misura sia un giudice del tribunale di Palermo (e non più di Agrigento), circostanza questa che sigilla il passaggio dell’intera inchiesta alla Direzione distrettuale antimafia. Un dettaglio non di poco conto che può significare – evidentemente – che le indagini si spostano su un campo di esclusiva competenza della procura distrettuale. E a questo punto della storia è assai plausibile che siano emersi elementi di indubbia rilevanza investigativa destinati a incrociarsi con le due maxi operazioni dei carabinieri del Comando provinciale di Agrigento che, tra dicembre e gennaio, hanno disarticolato le famiglie mafiose di Villaseta e Porto Empedocle.

La vicenda risale allo scorso gennaio quando gli agenti del commissariato di Porto Empedocle e i poliziotti delle Volanti, guidati dai vicequestori Chiara Sciarrabba e Francesca Roberto, fermarono un’auto nei pressi di un supermercato con a bordo quattro agrigentini. E due pistole pronte a sparare. In manette finirono Andrea Sottile, 26 anni; Simone  Sciortino, 23 anni; Antonio Guida, 19 anni, e Danilo Barbaro, 38 anni. I primi tre furono subito rimessi in libertà e in carcere rimase soltanto il trentottenne, proprietario dell’auto. Le indagini degli investigatori non si sono però fermate e pochi giorni dopo lo stesso Gip che aveva scarcerato tre dei quattro indagati firmò un nuovo provvedimento di cattura grazie a nuovi elementi portati alla luce dai poliziotti. Il primo è un colloquio intercettato tra gli indagati: “Dovevamo andare a sparare a quello in testa e invece siamo di nuovo al Petrusa”. Per il giudice era chiaro ed evidente l’intento omicida di quella notte. Il secondo, importante, elemento è rappresentato dal contenuto dei cellulari sequestrati. In uno di questi sono state scoperte delle chat con il detenuto James Burgio, già condannato per essere ritenuto “vicino” al capomafia Antonio Massimino. Ed è plausibile ritenere che proprio questi aspetti siano stati ulteriormente oggetto di “attenzioni” degli inquirenti.

Una notte – quella del gennaio scorso – caratterizzata anche da un tentativo di depistaggio delle indagini. Secondo quanto emerso, infatti, una chiamata anonima (poi rintracciata) arriva al centralino delle forze dell’ordine dicendo di una rapina in corso in un noto bar. Il tutto proprio mentre i poliziotti stavano perquisendo le persone appena fermate a bordo dell’auto. Le indagini, come detto, sono proseguite e hanno consentito di ricostruire non soltanto gli spostamenti effettuati quella sera – dal Quadrivio, a Villaseta fino a Porto Empedocle – ma anche sulle pistole rinvenute. Una di quelle sequestrate è risultata intestata ad un 70enne di Favara. E poi, infine, il ritrovamento di sette proiettili nei pressi del supermercato in cui era scattato il fermo degli indagati. Qualcuno, prima di essere perquisito, le aveva gettate. Le telecamere, però, hanno ripreso tutto compreso il ritrovamento avvenuto poche ore dopo da parte di alcuni operatori ecologici. 

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