Mafia

L’omicidio degli imprenditori Rovetta e Vecchio, chiesto processo per il boss Ercolano

L'ergastolano, detenuto per mafia e diversi delitti, compreso quello del giornalista Pippo Fava, è ritenuto "l'ideatore e l'organizzatore", in concorso con ignoti, dell'agguato

Pubblicato 1 ora fa

Sarebbe Aldo Ercolano, nipote dello storico boss mafioso Benedetto Santapaola e suo ‘alter ergo’ dopo il suo arresto, il mandante del duplice omicidio degli imprenditori Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio uccisi il 31 ottobre 1990 nel sito dell’Acciaierie Megara di Catania dalla mafia per il rifiuto di cedere alle richieste di ‘pizzo’. E’ la tesi della Procura generale del capoluogo etneo che ha chiesto il rinvio a giudizio dello storico capamafia etneo attualmente detenuto nel carcere di Oristano. L’ergastolano, detenuto per mafia e diversi delitti, compreso quello del giornalista Pippo Fava, è ritenuto “l’ideatore e l’organizzatore”, in concorso con ignoti, dell’agguato. Il provvedimento è firmato dal procuratore generale Carmelo Zuccaro e dai Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci e si basa su indagini del nucleo di Polizia giudiziaria interforze e della Dia di Catania.

A Ercolano si contesta di avere agito “con premeditazione” e anche “le aggravanti dei motivi abbietti e futili, per garantire il predomino nel territorio catanese e i vantaggi economici alla famiglia catanese di Cosa Nostra, ma anche di assicurarsi il profitto dell’estorsione alle Acciaiere Megara che poi è partita da gennaio 1991”. La Procura generale ha chiesto il processo di altri quattro imputati accusati di estorsione aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, reati contestati anche ad Aldo Ercolano. Sono Vincenzo Vinciullo, Antonio Alfio Motta, Francesco Tusa e Leonardo Greco. L’accusa delinea anche i ruolo che ciascun imputato avrebbe avuto: Aldo Ercolano, con il padre, il capomafia defunto ‘Pippo’, avrebbe avuto il ruolo di mandante della tangente mafiosa, Greco, invece, di organizzatore, Tusa e Motta di ‘riscossori’ e Vinciullo di ‘negoziatore’.

Secondo l’accusa l’estorsione sarebbe stata commessa in concorso con esponenti di spicco di Cosa nostra, tutti deceduti: Bernardo Provenzano, Pippo Ercolano, Nicolò Greco, Lucio Tusa e Luigi Ilardo. Tra le minacce, oltre alle telefonate minatorie, anche il posizionamento di proiettili sul sedile di un dirigente e nel giardino della moglie di Rovetta. Secondo la ricostruzione della Procura generale i vertici di Alfa Acciai di Brescia, indicati come parti offese nell’inchiesta, sarebbero stati costretti a versare dal 1991 in più tranche la somma di un miliardo delle vecchie lire da corrispondere a ‘famiglie’ di Cosa nostra di Catania, Caltanissetta e Palermo.

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