Caporalato, operazione “Ponos”, otto fermi: giro d’affari da un milione di euro l’anno (i nomi)
di Irene Milisenda e Giuseppe Castaldo Conferenza stampa ad Agrigento, in Procura, del procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio e idel sostituto Gloria Andreoli, presenti il col. Giovanni Pellegrino ed altri ufficiali dei carabinieri, per spiegare la ratio dell’operazione “Ponos” (divinità greca depositaria dello spirito del lavoro duro e della fatica) che oggi ha […]
di Irene Milisenda e Giuseppe Castaldo
Conferenza stampa ad Agrigento, in Procura, del procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio e idel sostituto Gloria Andreoli, presenti il col. Giovanni Pellegrino ed altri ufficiali dei carabinieri, per spiegare la ratio dell’operazione “Ponos” (divinità greca depositaria dello spirito del lavoro duro e della fatica) che oggi ha portato al fermo di otto persone, una nona viene attivamente ricercata, che sfruttavano decine di lavoratori con azioni di caporalato: Viera Cicakova, 59 anni, della Repubblica Slovacca; la figlia Veronica Cicokova 37 anni, residenti al Villaggio Mosè, Agrigento, così come Inna Kozak, 27 anni, dell’Ucraina, l’unica ancora non catturata; Giovanni Gurrisi, 40 anni, di Agrigento, Vasile Mihu, 43 anni, rumeno, residente a Campobello di Licata; Niculai Stan, 62 anni, domiciliato a Naro; Rosario Ninfosì, 52 anni, di Palma di Montechiaro; Emilio Lombardino, 46 anni, di Porto Empedocle; Rosario Burgio, 42 anni di San Cataldo, residente a San Leone, Agrigento.
Le investigazioni, svolte con numerosissimi servizi di pedinamento e con un complesso sistema di intercettazione e di riprese video, hanno svelato l’esistenza di una complessa organizzazione che sfruttava senza scrupoli manodopera extracomunitaria per lavori agricoli di vario tipo su tutto il territorio agrigentino e anche oltre. Un fenomeno di caporalato, insomma articolato e con una solida struttura verticistica, che vedeva, come capi promotori cd organizzatori, due donne di origine slovacca, madre e figlia. In qualità di complici nella gestione delle attività, sono stati anche arrestati due romeni e quattro italiani.
Tutto cominciava con l’ingresso dei lavoratori,
nella maggior parte dei casi ucraini e moldavi,
all’interno delle frontiere europee, Le due donne e gli altri membri dell’organizzazione, facendo ottenere ai futuri braccianti visti turistici
che consentissero l’ingresso negli Stati ai confini orientali dell’Unione Europea,
facevano transitare la forza lavoro dalla Polonia e approfittando della libera circolazione prevista dal
Trattato di Schengen, aggiravano i limiti del c.d. decreto flussi, organizzando
i l viaggio verso l ‘Italia attraverso autobus vecchi ed angusti .
Una volta arrivati nell’agrigentino, i circa l
00 braccianti ucraini sono stati “ospitati”, pagando un affitto da l00
euro a posto letto al mese presso
diverse abitazioni messe a disposizione dai
membri dell’organizza zione (in abitazioni anche con 5 ospiti), divenendo pronti per essere sfruttati nei campi. Le
due promotrici e gli altri intermediari contrattavano a questo punto le
prestazioni con i proprietari dei fondi e delle aziende agricole e, una volta
raggiunto l’accordo , gli operai venivano trasportati , in condizioni di
estremo disagio, su una vera e propria flotta di minivan e furgoni condotti
dagli stessi caporali. Le indagini hanno accertato che in alcuni casi sono
state caricate anche 40 persone su un unico furgone. I Carabinieri hanno
inoltre accertato che ogni lavoratore “costava” circa 42 euro al
giorno, ma riceveva una paga corrispondente a meno di 3 euro all’ora, molto al
di sotto del limite minimo retributivo previsto dal contratto provinciale del
lavoro.
Nei campi, le condizioni di lavoro erano
strazianti: braccianti costretti a stare in piedi per ore, a sgrappolare l’uva
o a raccogliere le pesche, senza poter fare pause o riposarsi, non potendosi
sedere nemmeno su una cassetta di frutta. Non avevano a disposizione alcun
dispositivo di protezione
ed erano esposti
al forte caldo
e ali ‘umidità delle serre e alla pioggia battente senza poter trovare
riparo, lavorando fra le l10 e le 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, festivi
compresi, costantemente intimoriti e controllati dai caporali.
II giro d’affari, in termini di guadagno
dell’organizzazione e di risparmi illecitamente ottenuti dai committenti in
relazione ai mancati versamenti previdenziali ed altro, è stato stimato in
circa un milione di euro a stagione.
Tutti gli indagati dovranno ora rispondere, a
vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla illecita
intermediazione ed allo sfruttamento del lavoro, nonché di violazione delle
disposizioni contro l’immigrazione clandestina.