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Clan Nicitra, la Stidda a Roma per uccidere: parla Giuseppe Croce Benvenuto 

Entra in scena un altro collaboratore di giustizia, dopo la testimonianza di appena sette giorni fa di Giovanni Calafato, nel processo al clan Nicitra

Pubblicato 1 anno fa

E venne il giorno di Giuseppe Croce Benvenuto. Entra in scena un altro collaboratore di giustizia, dopo la testimonianza di appena sette giorni fa di Giovanni Calafato, nel processo che si sta celebrando a Roma a carico del clan guidato da Salvatore Nicitra, originario di Palma di Montechiaro, considerato dagli inquirenti il padrone assoluto del quadrante nord della capitale. Dai rapporti con la famigerata Banda della Magliana alle parentele e collusioni con i clan della Stidda e le famiglie mafiose dell’agrigentino che, alla fine degli anni ottanta, diedero vita ad una sanguinosa guerra di mafia. 

Giuseppe Croce Benvenuto, tra i leader della Stidda di Palma di Montechiaro, ha deposto per quasi due ore nel processo scaturito dall’inchiesta Jackpot, l’operazione dei carabinieri che tre anni fa portò all’arresto di 38 persone facendo luce sugli interessi del clan guidato da Salvatore Nicitra. Il pubblico ministero Stefano Luciani, dopo aver chiamato a testimoniare Giovanni Calafato, ha interrogato anche Croce Benvenuto. Entrambi, come hanno dichiarato in un verbale risalente al 2015, avrebbero effettuato diverse trasferte a Roma in soccorso di Nicitra per compiere alcuni omicidi di persone ritenute scomode. 

Croce Benvenuto, prima di descrivere la figura di Nicitra, racconta il suo passato criminale: “La mia carriera criminale comincia con le rapine già a dodici anni. Vengo arrestato nel 1987 una prima volta e poi nuovamente all’aeroporto di Fiumicino appena rientrato dal Canada. Alla fine degli anni ottanta però il nostro gruppo inizia una guerra con Cosa nostra di Palma di Montechiaro per spodestarla e prendere il potere. Poi abbiamo stretto alleanze con altri stiddari dell’agrigentino e di altre province”.

Benvenuto spiega poi le sue trasferte a Roma: “Ci sono stato almeno tre volte. Vengo a Roma su richiesta di Calogero Farruggio, grande amico di noi stiddari, aveva un fratello che faceva parte di cosa nostra e il suocero era un capo mafia. Farruggio mi chiamò per commettere alcuni omicidi dicendomi che c’erano persone che volevano la morte di Nicitra e noi dovevamo eliminarle.”

Il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande, traccia il profilo di Salvatore Nicitra: “Nicitra mi ha detto che da giovane faceva parte della Banda della Magliana, poi si è distaccato ma ha mantenuto rapporti con diversi esponenti del gruppo. Operava nel quartiere Primavalle e in passato si dedicava alle rapine ma poi si è messo in pensione e ha iniziato con il gioco d’azzardo, il totonero e l’usura. Nicitra reimpiegava i soldi illeciti in immobili.  Aveva grande disponibilità di denaro. Aveva dei magazzini, dei garage affittati a negozi, case e ville. Erano tutte intestate ad altre persone e non a lui, non necessariamente familiari. Ricordo che gli avevano sequestrato dei terreni. Sono stato in diverse case di Nicitra tra cui una villa grandissima. Nicitra ha fatto investimenti anche in Africa, ha comprato alcuni immobili in Kenya o in Sud Africa.”

Così il pentito ha riferito sui rapporti di Nicitra con esponenti delle forze dell’ordine e sulla disponibilità di armi: “Nicitra aveva rapporti con le forze dell’ordine, stava molto bene. C’era il commissariato del suo quartiere che lo avvisava sempre se c’erano controlli in corso o dei blitz. Nicitra pagava le forze dell’ordine per dargli notizie. Io stesso ho dato delle armi a Salvatore Nicitra nel 1991. Il fratello Domenico era venuto a trovarmi in Belgio, dove io trafficavo armi, e durante la corsa di formula una mi fece questa richiesta. Non ricordo bene ma si parla di un carico di armi tra cui pistole, fucili e mitra. Nicitra già aveva armi ma non una vasta disponibilità. Aveva qualche pistola e questo lo so perchè quando dovevo commettere l’omicidio me l’hanno data.”

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