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La sparatoria a Villaggio Mosè, i tre indagati restano in carcere: “La versione di Zambuto è la più credibile”

I tre indagati restano in carcere, ecco la decisione del giudice

Pubblicato 3 mesi fa

Restano tutti in carcere gli indagati coinvolti nell’inchiesta sulla sparatoria avvenuta venerdì pomeriggio nella concessionaria “Auto per passione” a Villaggio Mosè in cui ha perso la vita il trentasettenne Roberto Di Falco. Il gip Giuseppe Miceli, pur non convalidando il provvedimento di fermo, ha disposto per i tre indagati la misura cautelare della custodia in carcere. Si tratta di Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima; Domenico Avanzato, 36 anni, e Calogero Zarbo, 40 anni. Tutti sono accusati di una particolare fattispecie di omicidio, quella per “errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato”, tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco.

“LA VERSIONE DI ZAMBUTO, ALLO STATO, È PIÙ CREDIBILE”

L’impianto accusatorio, dunque, regge ad un primo vaglio. La ricostruzione dei fatti si basa, fondamentalmente, sulle immagini delle telecamere di sicurezza della concessionaria, sulle dichiarazioni del titolare, dei due figli e sulle “cose non dette” dagli odierni indagati. Partendo dal presupposto che “la dinamica concreta su come e da chi sia stata esploso il colpo d’arma da fuoco non si rileva dalla visione dei video”, le versioni fornite da tutte le parti in causa sonodiametralmente opposte. Il commerciante Zambuto, sul punto, ha riferito di essere stato in grado di spostare con una mossa la pistola puntatagli contro da Roberto Di Falco. Il fratello di quest’ultimo, invece, ha riferito che ad impugnare l’arma da fuoco era il proprietario della concessionaria. Il giudice Miceli, sul punto, osserva: “È di tutta evidenza come la credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni, diametralmente opposte, non può che essere vagliata alla luce degli ulteriori elementi che possano riscontrare una delle due versioni. E la versione dei fatti, che allo stato trova qualche riscontro, è proprio quella di Zambuto atteso che alcuni elementi oggettivi di riscontro alla stessa sono costituiti, in primo luogo, dalla ferita sulla mano riscontrata su Roberto Di Falco, ferita pienamente compatibile secondo la P.g. con il c.d. scarrellamento della pistola semiautomatica da di chi impugna la medesima dopo l’esplosione colpo da sparo”.

“IL MOVENTE È UN ASSEGNO SCOPERTO PER L’ACQUISTO DI UN’AUTO”

Svelato anche il possibile movente alla base dell’aggressione trasformatasi poi in tragedia. Scrive il gip: “Quella che fin da subito era apparsa una evidente e premeditata aggressione fisica nei suoi confronti trova il substrato nell’attività commerciale svolta da Zambuto, posto che seppur con qualche reticenza da parte dello stesso, è fin qui pacificamente emerso che quest’ultimo ha acquistato alcune vettura da Angelo Di Falco che, però, non erano state del tutto saldate posto che lo stesso aveva appreso che uno degli assegni dall’importo di 5 mila euro consegnatogli da Zambuto quale corrispettivo di una delle auto acquistate era privo di copertura. Dal suddetto mancato pagamento, nascevano delle discussioni, anche accese, tra Di Falco e Zambuto. E dopo l’ultima discussione telefonica intercorsa nella mattina del 23 febbraio, Di Falco Angelo decideva di recarsi presso l’autosalone gestito da Zambuto, unitamente al fratello, Zarbo e Avanzato – almeno per quanto fin qui emerge dagli atti – armato di una pistola chiaramente al fine evidente di dare una lezione allo Zambuto e recuperare una delle auto consegnate”. 

“AGLI ATTI NON C’È LA PROVA CHE GLI INDAGATI VOLESSERO UCCIDERE IL COMMERCIANTE”

Aggressione per dare una lezione sì, volontà di uccidere il commerciante forse. Per il giudice, infatti, “contrariamente a quanto sostenuto dal pm, pareche non vi sia agli atti prova univoca in ordine al fatto che gli odierni indagati erano partiti con l’intenzione di uccidere Zambuto (cosa che avrebbero fatto verosimilmente in orario diverso e con qualche maggiore cautela di tempo e luogo). Al contempo non vi è neppure prova univoca in ordine al fatto che gli odierni indagati ben sapessero che Roberto Di Falco era armato.” E ancora: “Deve sottolinearsi come dalle modalità con cui è stata attuata l’aggressione, la stessa era in sostanza una azione diretta quanto meno a dare una concreta lezione a Zambuto oltre che a recuperare almeno parte dì quanto era a lui dovuto: una condotta che appare tipica del delitto di estorsione o quanto meno dì quello dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia

FERMO NON CONVALIDATO: NON C’ERA PERICOLO DI FUGA

Il giudice, pur disponendo la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dei tre indagati, non ha convalidato il provvedimento di fermo in assenza del presupposto del pericolo di fuga. Sul punto, il gip “ritiene che non siano in alcun modo individuabili e sussistenti quegli specifici elementi he fanno ritenere fondato il pericolo di fuga né il pubblico ministero ha fatto riferimento a concreti elementi limitandosi a richiamare genericamente la scoperta di indizi di reità nei loro confronti che, però, si noti bene era presente e noti a tutti e tre gli indagati fin da subito, posto che il fatto risulta essere commesso in pieno pomeriggio alla presenza di numerose persone [..] Eppure gli indagati non sono fuggiti.” Zarbo è stato preso a casa sua a Palma di Montechiaro mentre gli altri due sono rimasti nella zona dell’ospedale di Agrigento. 

1 commenti
Un pensiero su "La sparatoria a Villaggio Mosè, i tre indagati restano in carcere: “La versione di Zambuto è la più credibile”"
  1. capitan mezzabotta ha detto:

    Comunque per onor di cronaca generalmente, chi si ferisce con uno scallerramento di una semiautomatica, nella fattispecie una 7.65, non è chi la impugna, ma chi tenta di sottrarla e la pistola spara perchè ovviamente è stato premuto il grilletto da chi la impugnava, questa è la mia modesta opinione, da militare in congedo, traetene le dovute conclusioni.

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