Mafia

Mafia, il paracco di Palma di Montechiaro: a maggio la sentenza 

In primo grado sono state disposte 10 condanne e 8 assoluzioni

Pubblicato 1 mese fa

È in programma il prossimo 21 maggio la sentenza del processo di Appello scaturito dall’inchiesta “Oro bianco”, l’inchiesta che ha fatto luce sul paracco di Palma di Montechiaro, una clan indipendente da Cosa Nostra e Stidda guidato da Rosario Pace. Con l’udienza di oggi, infatti, si sono concluse tutte le arringhe degli avvocati della difesa. I giudici della quarta sezione della Corte di Appello, dopo eventuali repliche, emetteranno la sentenza il 21 maggio.

La procura generale di Palermo, con il sostituto Emanuele Ravaglioli, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado quando il gup di Palermo dispose dieci condanne e otto assoluzioni e, in particolare: 16 anni di reclusione a Rosario Pace; Emanuele Pace (10 anni); Sarino Lauricella (12 anni); Francesco Bonsignore (5 anni e 8 mesi); Domenico Manganello (18 anni e 8 mesi); Gioacchino Rosario Barragato (12 anni); Giuseppe Blando (11 anni e 8 mesi); Giuseppe Morgana (10 anni e 8 mesi); Gioacchino Pace (16 anni e 8 mesi ma escluso il reato di mafia). Dalla lista degli imputati è uscito l’ex consigliere comunale di Palma di Montechiaro, Salvatore Montalto, deceduto lo scorso anno nel carcere di Cagliari. In primo grado era stato condannato a 12 anni di reclusione.

Le assoluzioni erano state otto: Calogero Lumia, Salvatore Troia, Salvatore Carusotto, Rocco Novella, Carmelo Pace, Giuseppe Pace, Gioacchino Angelo Mangiavillano e Federico Gallea. L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Claudio Camilleri, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo, si concentra sul paracco di Palma di Montechiaro che sarebbe stato in grado di gestire un fiorente traffico di stupefacenti, di infiltrare un capodecina all’interno del consiglio comunale e di aver tentato di mettere le mani sull’appalto del contratto di quartiere dal valore di due milioni di euro. L’indagine muove i primi passi nel palermitano ma ben presto si sviluppano i collegamenti con la provincia di Agrigento. Collegamenti che sono stati tracciati anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. Dalla figura di Salvatore Troia, uomo d’onore di Villabate, si è giunti a Favara dove era in contatto con Giuseppe Blando. Blando è il fratello del più noto Domenico, favoreggiatore della latitanza di Giovanni Brusca a Cannatello. 

L’accusa per gli indagati è di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali. Nel collegio difensivo gli avvocati Giovanni Castronovo, Antonio Impellizzeri, Santo Lucia, Francesco Scopelliti, Antonino Gaziano, Vito Cangemi, Salvatore Pennica , Giuseppe Vinciguerra, Maria Alba Nicotra, Giovanni Rizzuti, Domenico Ingrao e Rosalia Palumbo Piccionello.

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