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“Palma di Montechiaro non ha re e regno”, depositate le motivazioni del processo Condor 

Dieci le condanne disposte lo scorso febbraio nel processo scaturito dall'inchiesta che fatto luce sulla riorganizzazione di Cosa nostra e Stidda in provincia di Agrigento

Pubblicato 2 settimane fa

Il tribunale di Palermo ha depositato le motivazioni della sentenza del processo Condor, lo stralcio abbreviato dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia che ha fatto luce sulla riorganizzazioni della cosche mafiose di Cosa nostra e Stidda nel versante orientale della provincia di Agrigento. Dieci le condanne disposte lo scorso febbraio dal giudice per l’udienza preliminare Ivana Vassallo. Oggi, con un dispositivo di oltre quattrocento pagine, vengono resi noti i motivi alla base del provvedimento che ha riguardato – tra gli altri – nomi e volti noti dello scacchiere mafioso nell’agrigentino. L’inchiesta Condor, sebbene rappresenti una costola della più nota indagine Xidy sul mandamento di Canicattì, è un passaggio cruciale nell’ottica di un’approfondita analisi del fenomeno mafioso in provincia. E questo non soltanto per lo spessore dei personaggi coinvolti nelle maglie del blitz – storici nomi che puntualmente riaffiorano tra le carte degli inquirenti – ma soprattutto perchè fotografa nitidamente un dinamismo oggi più vivo che mai tanto nelle famiglie di Cosa nostra quanto nei “paracchi” della Stidda.

Un dualismo, sfociato in sanguinose guerre a cavallo degli anni ottanta e novanta, che oggi trova una sintesi in una apparente “armonia” con interessi comuni e talvolta anche convergenti: dai radicati business della droga e delle estorsioni a quelli più “innovativi” della mediazione della vendita dell’uva, le cosiddette sensalie, le macchinette da gioco passando anche alle “tasse” imposte agli autotrasportatori e le aste giudiziarie. In tal senso l’attività investigativa “Condor”, culminata con l’arresto di nove persone da parte dei carabinieri lo scorso anno, è illuminante. L’inchiesta, infatti, arriva a registrare gli stati d’animo, le considerazioni e le prospettive degli indagati all’indomani di altre due operazioni di rilievo –  “Oro Bianco” e “Xidy” – permettendo così agli inquirenti di avere uno spaccato in tempo reale delle dinamiche mafiose. Procedendo in questa direzione, in questa prima “puntata” dedicata all’inchiesta Condor, non si può non cominciare ad analizzare le posizioni dei tre personaggi ritenuti chiave: Giuseppe Chiazza, Nicola Ribisi e Giuseppe Sicilia, rispettivamente condannati a 20 anni, 14 anni, 2 mesi e 20 giorni e 9 anni, 10 mesi e 15 giorni per aver svolto ruoli direttivi nella Stidda di Palma di Montechiaro, in Cosa nostra di Palma di Montechiaro e in Cosa nostra di Favara. Ecco cosa scrivono i giudici con riferimento a Giuseppe Chiazza. 

LE VALUTAZIONI DEL TRIBUNALE 

“Così sintetizzato il compendio probatorio acquisito a carico dell’imputato, reputa il Tribunale che sia stata provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale di Chiazza Giuseppe , in ordine al reato a lui ascritto al capo 2), per le ragioni che saranno di seguito illustrate. Preliminarmente va evidenziato che nonostante nella rubrica del capo 2) dell’imputazione siano menzionati, tra gli altri, anche i commi IV (associazione armata) e VI (Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti), si reputa che il delitto sia stato contestato nella forma semplice e non aggravata in quanto in punto di fatto nessun riferimento viene formulato nè in ordine all’associazione armata nè in ordine al finanziamento delle attività economiche degli associati con il prezzo, prodotto o profitto di delitti) [..] Nella fattispecie m esame, con specifico riferimento al periodo temporale (2016) oggetto di contestazione, successivo rispetto a quello coperto dal giudicato (sentenza della Corte di Appello di Palermo dell’ 11 febbraio 2004 irrevocabile il 5 ottobre 2004, per fatti commessi sino al 26 maggio 2000), reputa il Tribunale che siano stati raggiunti solidi elementi probatori che dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la permanenza, in seno al gruppo criminale degli stiddari, da parte di Chiazza Giuseppe. Nel suddetto giudizio, invero, stata accertata l’appartenenza del Chiazza all’associazione per delinquere di stampo mafioso del “paracco” dei Cucciuvì operante in Palma di Montechiaro, diretta dalla famiglia dei Pace (Pace Domenico e Pace Rosario in particolare); si tratta di una organizzazione criminale riconducibile alla ‘confederazione’ mafiosa denominata stidda. Chiazza Giuseppe veniva scarcerato il 12 luglio 2020 dalla misura degli arresti domiciliari che scontava dal 10 dicembre 2019; condannato alla pena di anni 10 di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis Il 5 agosto 20 I 4 veniva sottoposto alla misura di prevenzione dalla sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per la durata di anni due, terminata in data 4 agosto 2016. Nel presente giudizio, è stato dimostrato che Chiazza non ha mai rescisso il suo legame con il gruppo criminale degli stiddari, di talchè deve nuovamente essere riconosciuta la responsabilità per il reato a lui ascritto anche con riferimento al periodo successivo a quello coperto da giudicato ed oggetto di contestazione. Sul punto non possono essere condivise le perplessità mostrate dai difensori che, evidenziando il lungo lasso temporale intercorso tra la data del commesso reato (fino al 26 maggio  2000) e il momento  in cui si assume siano stati perpetrati i fatti oggetto di contestazione (dal 20 I 6), hanno ritenuto d i dovere escludere il principio di diritto sopra enucleato, dovendosi ritenere, già per il sol decorso del tempo, interrotto  ogni  contatto  tra  l’imputato  e  l’associazione  criminale. L’assunto non può essere condiviso: il principio “de quo” si fonda sull’indicatore fattuale – che può considerarsi notorio in quanto accertato in numerosissime sentenze passate in giudicato – per cui il vincolo associativo tra il singolo e l’organizzazione si instaura nella prospettiva di una futura permanenza in essa a tempo indeterminato e si protrae sino allo scioglimento della consorteria ovvero fino al momento del recesso volontario che, come ogni altra ipotesi di dismissione della qualità di partecipe, deve essere accertato in virtù di una condotta esplicita, coerente e univoca; conseguentemente, il mero decorso del tempo (similmente rispetto a quanto affermato dalla Cassazione con specifico riferimento allo stato di detenzione) non è oggettivamente e univocamente indicativo dello scioglimento del vincolo ovvero del recesso da parte dell’associato. In particolare, il nucleo essenziale della piattaforma probatoria è costituito dalle intercettazioni captate nel procedimento cd. Xidy e nel presente procedimento (cd. operazione Condor) e dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo effettuati dalla p.g. Il suddetto materiale probatorio, invero, si reputa sufficiente sia a dimostrare la permanenza del vincolo associativo già accertato sia la partecipazione di Chiazza Giuseppe nella compagine mafiosa. Infine, si evidenzia che il convincimento del Tribunale sulla colpevolezza dell’imputato non risulta scalfito dalle argomentazioni difensive, non essendo le stesse – per le ragioni che saranno anch’esse illustrate – oggettivamente idonee a confutare il percorso logico-giuridico posto a fondamento del giudizio di responsabilità penale. Dal consistente materiale probatorio acquisito, m particolare, risulta pienamente dimostrata la intraneità di Chiazza Giuseppe alla stidda sotto molteplici aspetti: è stato possibile apprendere l’orgoglioso sentimento di appartenenza al gruppo degli stiddari da parte di Chiazza Giuseppe, chiaramente evincibile da una intercettazione ambientale il cui significato probatorio, per chiarezza, univocità e carica comunicativa del contenuto, non può essere messa  in discussione (e con il quale, in realtà, le difese non si sono, durante la loro discussione, misurate e confrontate); sono stati evidenziati i rapporti “ambigui” tra la stidda e Cosa Nostra (con specifico riferimento alla delega, da parte di Ribisi, in favore di Chiazza, del controllo delle attività criminali sul sistema della pesatura e dell’imposizione, da parte di Chiazza, all’insaputa e senza il consenso di Ribisi, di ulteriori somme ai camionisti, a titolo di messa a posto), coerentemente, peraltro, rispetto a quanto accertato nelle pregresse sentenze passate in giudicato, ove è emerso il costante tentativo del gruppo criminale – ritenuto anch’esso di stampo mafioso – di matrice “stiddara” non soltanto di affrancarsi da Cosa Nostra rivendicando la propria identità ma anche di imporre le proprie regole ed assumere una posizione sovraordinata rispetto alla cosca antagonista; è stato accertato il coinvolgimento di Chiazza Giuseppe m seno alle attività criminali d i natura estorsiva sul settore delle macchinette; sono stati dimostrati plurimi episodi estorsivi (nella forma consumata e tentata), ai danni di diversi imprenditori e, in particolare, di Consagra Angelo, Cosentino Baldassare e Biancoli lla Fabiano, aggravati dall’essersi avvalso della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo di tipo mafioso, idonei ad evocare la incondizionata disponibilità di Chiazza Giuseppe ad offrire il proprio contributo ai fini del persegui mento delle finalità e degli scopi dell’associazione  criminale. Procedendo  ad esaminare  il materiale probatorio  acquisito a sostegno della tesi accusatoria,  giova innanzitutto rilevare la conversazione del 29 giugno 2021 (progressi vo n° 8174) tra Chiazza Giuseppe ed Anzalone Gabriele, in cui, come condivisibilmente evidenziato dal P.M., può ravvisarsi una piena, completa ed attendibile confessione da parte dell’imputato. È stato già evidenziato che, nel corso del colloquio, Chiazza Giuseppe raccontava di aver preso contatti con alcuni componenti di un gruppo criminale della città di Palermo ai quali aveva chiesto aiuto per ottenere la riscossione di un credito; in un passaggio del racconto, l’imputato ammetteva la propria  partecipazione   all’associazione  mafiosa:”..non  è  che  non  li  conosco  è  che  io  …sono stato…pure in queste zone…e c’è u na “famigliedda”  che è con noi …stiddari diciamo….inc…e li sono andato a cercare…li ho contattati …e gli ho detto “danno non ne voglio fare…giustamente uno …ti vengo a bussare…però …incontriamo a quei “picciotti” che dobbiamo sistemare questa cosa …se me la devo sistemare io …faccio danno”…però mi devono appoggiare…strade, cose e cunti mi devono appoggiare loro…sono amici…hai capito? …sempre di famiglia diciamo!”. In questa sede basti rilevare che: non vi è motivo di ritenere che il Chiazza rappresenti al suo interlocutore una circostanza non vera, millantando una posizione che non riveste: non soltanto dal contesto dell’intera conversazione si evince la genuinità e spontaneità del narrato (l’imputato, inoltre, non ha contezza di essere intercettato). altresì non sono emersi indicatori fattuali idonei a far ritenere che la artificiosità del dialogo; il contenuto delle espressioni utilizzate da Chiazza Giuseppe è chiaro ed univoco e non si presta ad interpretazioni alternative, rivendicando l’imputato la sua appartenenza al gruppo degli “stiddari”; Le difese non si sono misurate con l’efficacia comunicativa di tale confessione, non offrendo una interpretazione alternativa. Corrobora il convincimento del Tribunale, inoltre, l’ulteriore conversazione captata il 26 luglio 2021, dai toni del tutto simili rispetto a quelli sopra evidenziati, in  cui il Chiazza ribadiva al suo interlocutore il sentimento di orgoglio per i risultati da lui conseguiti in seno alla compagine mafiosa e la stima da lui raggiunta (“…quindi …tu sei stato ragazzo, hai avuto la tua strada …io mi sono fatto quella mia…una volta da ragazzo, una volta da adulto…mi sono fatto sempre quella mia!…io qualsiasi largo voglio qua a Palma di Montechiaro e fuori da Palma di Montechiaro se me lo  posso perrnettere …non c’è bisogno che tocco il tasto …inc…prima entro e poi chiedo!…prima entro però e poi chiedo…sai perchè? …perché hanno la massima …”). Anche con ri ferimento alla suddetta conversazione, rispetto alla quale la difesa non ha proposto interpretazioni alternative, devono essere evidenziate sia la chiarezza dei contenuti, sia la forza comunicativa del linguaggio utilizzato da Chiazza Giuseppe, dotati di una indiscutibile valenza probatoria a suo carico. L’acceso confronto tra Chiazza ed i fratelli Calafato, altri sodali appartenenti alla stidda, che mai, stante la partecipazione alla medesima associazione criminale mafiosa, avrebbe potuto sfociare nella uccisione del compagno. Ulteriore  indicatore  fattuale  della  circostanza  che  il  Chiazza,  riconosciuto  partecipe  del  gruppo criminale della stidda. non ha mai interrotto il legame con l’associazione mafiosa de qua. risulta dalla conversazione del 26 luglio 2021 in cui Chiazza raccontava a Petruzzella lo scontro avuto con i fratelli Calafato, precisando che mai il contrasto sarebbe potuto sfociare in un agguato mortale, in ossequio alle rigide regole della cosca – effettivamente accertate da numerose sentenze passate in giudicato – , secondo cui non è possibile uccidere un associato. Anche in questo caso, va evidenziata la forza comunicativa del racconto fatto dallo stesso Chiazza e può leggersi, come in altre conversazioni, il sentimento di orgoglio nel riferire l’appartenenza alla stidda. Procedendo l’analisi degli elementi probatori idonei a  dimostrare  la  permanenza  del  vincolo associativo di Chiazza Giuseppe in seno al gruppo criminale degli stiddari, assumono una valenza dimostrativa di notevole ril ievo le intercettazioni attraverso le quali è possi bile ricostrui re l’ascesa dell’imputato  in seno alla stidda dopo l’arresto del capo clan, Pace Rosario e di Chiazza Antonino. È stato evidenziato, in punto di fatto, che in data I 3 gennaio 202 I veniva eseguita l’Ordinanza di applicazione di misure cautelari disposta dal GIP, nei confronti di dodici soggetti accusati di aver fatto parte dell ‘associazione di stampo mafioso e di matrice stiddara denominato “paracco dei Cucciuvi” operante nel territorio di Palma di Montechiaro e diretta da Pace Rosario. In data il 15 gennaio 2021, ossia nei giorni immediatamente successivi all ‘arresto di Pace Rosario, veniva captata una conversazione tra Chiazza Gioacchino (zio di Giuseppe) e Bracco Giuseppe nel corso della quale il primo, forte della sua risalente trasversale contiguità agli ambienti mafiosi di matrice stiddara e di Cosa Nostra, rimarcava la storica fluidità ed instabilità degli  assetti  mafiosi palmesi e la continua alternanza della  supremazia  di un’associazione  mafiosa  sull’altra  (“. ..a Palma non c’è mai stato né regno e neanche re”); il Bracco ipotizzava che, in ragione del recente arresto di PACE Rosario, sarebbe stato proprio Chiazza Giuseppe ad acquisire un ruolo sempre crescente nello scacchiere della stidda palmese (“…ora Peppe prende  il  sopravvento …tra  un  po’  di  giorni  ti faccio  vedere …”). Orbene, pur trattandosi di conversazione intercorsa tra soggetti terzi  rispetto  a  Chiazza  Giuseppe, reputa il Tribunale che la stessa sia dotata di ampia valenza dimostrativa in quanto il dialogo intercorre tra soggetti che dimostrano di essere pienamente a conoscenza delle dinamiche dei rapporti in seno al gruppo criminale, atteso che quanto dagli stessi affermato in ordine alla instabilità degl i assetti mafiosi pal mesi risulta accertato in numerose sentenze passate in giudicato afferenti ai rapporti tra la Cosa Nostra e la stidda nel territorio di Palma di Montechiaro. Le ipotesi paventate dai protagonisti della captazione, pertanto,  avuto riguardo all ‘attendibilità  delle fonti, appaiono plausibili. Corrobora la fondatezza dell’impostazione accusatoria, la circostanza che, a distanza di pochi giorni ed in particolare il 26 gennaio 2021 , veniva captato un ulteriore colloquio di presenza, questa volta intercorso tra lo stesso Chiazza Giuseppe ed Alotto Giovanni che, come accertato dalla polizia giudiziaria, era sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, tratto in arresto nel 2006 per associazione per delinquere finalizzata alle rapine, e nel 2013 per rapina ed estorsione in concorso. Nel suddetto dialogo, infatti, emergono dalla viva voce dello stesso Chiazza Giuseppe, le aspirazioni di quest’ultimo a ricoprire funzioni di natura vert icist ica in seno al gruppo criminale. Nel corso del dialogo, Chiazza affermava di avere raggiunto – tramite del fratello Tonino (nelle more, come emerso dagli esiti della contestuale indagine denominata “Xidy” assurto al rango di promotore del gruppo stiddaro canicattese) – un “patto” con il gruppo stiddaro canicattese per il controllo di un non meglio specificato settore dei trasporti (“…mio fratello mi sta dicendo arrangiati nei trasporti e cose. ..ora gli ho mandato la risposta pure …no io direttamente da…e si fa il patto …due ne partono da Canicattì e due ne partono da qua…”) ed esternava il suo ambizioso progetto criminale teso ad acquisire la guida dei gruppi stiddari palmesi a seguito dell’arresto di Pace Rosario ( “…sto creando con i miei cugini con i miei parenti, i miei amici, quelli che sono…quelli che siamo…”), stroncando sul nascere eventuali analoghe mire da parte di altri associati (“…hanno arrestato mio compare Sa’ … li hanno arrestati a tutti … sembra a loro che domani mattina si alzano e comandano..”). Anche questa conversazione si distingue per la chiarezza ed univocità dei contenuti, il cui significato non si presta ad interpretazioni alternative. Peraltro, corrobora l’assunto accusatorio, ribadendo la correttezza della interpretazione testé illustrata che afferma la natura illecita dei temi trattati tra gl i interlocutori, la circostanza Chiazza affermava di non avere intenzione di intaccare i settori criminali già controllati dal Pace, facendo espresso riferimento al settore delle estorsioni, del pizzo e della droga (“ma io giustamente a mio compare non gli devo toccare nulla . . ne pizzo, ne estorsioni, ne droga e ne niente okay ci siamo sino a qui?…”), rilevando peraltro che non era sua intenzione entrare in contrasto con il predetto, riconoscendone, così, il prestigio criminale (” e mio compare Sa (Rosario Pace) domani mattina mi deve dire e che aspettavi che mi arrestassero per fare il gallo?…”). Conferisce ulteriore certezza alla ricostruzione della tesi accusatoria, inoltre, la circostanza che il Chiazza non si limitava a manifestare le proprie ambizioni altresì forniva indicatori fattuali utili a dimostrare il pieno inserimento dello stesso nel gruppo degli stiddari: nel corso del medesimo colloquio con Alotto Giovanni, infatti, Chiazza Giuseppe raccontava di essere riuscito a ricevere un messaggio da Rosario Pace (nonostante la recente carcerazione di quest’ultimo) che lo aveva invitato a stare attento (“…lui mi ha detto “stiamo attenti me fra”) e a non lasciare spazio a nuovi gruppi criminali pronti ad inserirsi nella gestione delle attività criminali. Il Chiazza aggiungeva, infine, di avere effettuato una riunione con un altro associato indicato come “Luigi” (dalla polizia giudiziaria identificato nel già citato mafioso stiddaro palmese Luigi Castellana), rassicurandolo che la sua rinnovata ascesa nelle gerarchie del gruppo stiddaro non avrebbero pregiudicato i suoi interessi. Quanto sopra evidenziato dimostra in modo plastico e inequivoco l’inserimento di Chiazza Giuseppe in seno  al gruppo criminale degli stiddari: lo stesso imputato rivendica con orgoglio la sua appartenenza alla stidda (“noi stiddari”) e già all’indomani della carcerazione di Pace Rosario manifesta le sue ambizioni per ricoprire un ruolo con funzioni verticistiche, attivandosi anche in tal senso. La intraneità di Chiazza al gruppo degli stiddari risulta corroborata, inoltre, dalle ulteriori intercettazioni, anch’esse dal contenuto chiaro ed incontrovertibile, attraverso Ie quali è, possibile ricostruire i rapporti tra Chiazza Giuseppe e Ribisi Nicola ed il mantenimento della gestione del sistema della pesatura anche dopo i contrasti sorti tra gli stessi. Come evidenziato nel paragrafo dedicato a Ribisi Nicola, grazie all’intervento di quest’ultimo, Chiazza Giuseppe aveva acquisito – già a partire dall’anno 2020 (ossia all’indomani della sua ultima scarcerazione avvenuta il 12 luglio 2020 e dunque prima dell’arresto di Rosario Pace e di Chiazza Antonino, avvenuti rispettivamente il 13 gennaio 2021 ed il 2 febbraio 2021), il controllo sulle attività criminali afferenti all’impianto per la pesa dell’uva ubicato nel comune di Camastra, che la polizia giudiziaria aveva accertato essere formalmente nella disponibilità dell’imprenditore palmese Almanì Ignazio, titolare dell’impresa “Almanì Ignazio” operante nel settore del commercio all’ingrosso di generi alimentari. In particolare, è stato rilevato, in apposito paragrafo, che in un primo momento il sistema delle “messe a posto” a carico dei campionisti era controllato da Ribisi Nicola e che, in un secondo momento, questi aveva delegato l ‘esercizio delle sue prerogative a Chiazza Giuseppe; ciò nondimeno, ad un certo punto, Chiazza Giuseppe, anche senza l’autorizzazione di Ribisi Nicola, aveva imposto ai camionisti il pagamento di determinate somme, a titolo di “messa a posto”, ulteriori rispetto a quelle previste dal Ribisi. La tesi accusatoria, testè descritta, poggia su una solida piattaforma probatoria in quanto, alla luce delle conversazioni captate, dal contenuto chiaro ed inequivoco, sono stati accertati numerosi elementi dimostrativi dell’acquisizione da parte del Chiazza del controllo delle attività economiche svoltesi presso il suddetto impianto. Ulteriori conversazioni, inoltre, permettono di apprendere che le reiterate condotte estorsive perpetrate da Chiazza Giuseppe erano finalizzate alla raccolta di somme di denaro che egli destinava al mantenimento dei sodali stiddari detenuti. Orbene, procedendo l’analisi delle conversazioni de quibus, risulta dotata di ampia valenza probatoria quella intrattenuta il 7 settembre 2020 tra Chiazza Antonio (cugino di Chiazza Giuseppe e figlio di Chiazza Gioacchino) e lo stesso Ribisi Nicola da cui emerge che Chiazza Antonio informava Ribisi Nicola del fatto che Chiazza Giuseppe stava svolgendo all’interno dell’impianto di pesatura di Camastra una attività estorsiva ai danni dei camionisti non autorizzata dal Ribisi (“…si sta prendendo un centesimo al chilo …un centesimo al chilo!”). Ancorchè le espressioni utilizzate risultino oggettivamente ermetiche (atteso che gli interlocutori – come invece avviene in altre conversazioni – non usano espressamente la parola “estorsione” o “messa a posto”), la fondatezza della interpretazione offerta dalla pubblica accusa, nel senso sopra delineato, risulta comprovata dal prosieguo del dialogo da cui si evince che, lo stesso Ribisi appresa tale informazione, stigmatizzava il comportamento del Chiazza in ragione del fatto che era stato da lui “autorizzato” a gestire l’impianto, ma giammai lo aveva autorizzato ad estorcere denaro ai camionisti: “…con me non ha niente che fare . . fa munnizza . . perché non era questo quello che doveva fare lui lui doveva fare un altro lavoro e invece sta facendo munnizza . . e fai conto che lo arrestano …”. L’utilizzo,  infatti,  da  parte  di  Ribisi  Nicola,  di  espressioni  del  tipo  “munnizza”  ovvero  la prospettazione che per effetto di tali imposizioni il Chiazza rischi di essere “arrestato” confermano in modo incontrovertibile la natura illecita delle transazioni compiute da Chiazza con i camionisti che avevano necessità di utilizzare l’impianto delle pesature. Di dette estorsioni, peraltro, si aveva ulteriore conferma dall’ascolto della confessione che lo stesso Chiazza Giuseppe forniva in occasione di un dialogo registrato 1’8 luglio 2021 all’interno dell’autovettura in suo uso allorquando egli si trovava in compagnia di Niesi Gioacchino. Invero, nell’occasione, il Chiazza si lamentava con il suo interlocutore del comportamento dello zio Chiazza Gioacchino, accusandolo di avere diffuso la notizia della “messa a posto” da lui imposta ai camionisti così attirando anche l’attenzione della polizia  giudiziaria  (“…ha  impestato  un paese . ..fino a che lo sono venuti a sapere gli sbirri …” ). Anche il suddetto elemento, ossia la preoccupazione del Chiazza per la diffusione della notizia e in particolare per il fatto che la stessa era giunta fino ai Carabinieri, rafforza la solidità dell’interpretazione evidenziata dalla pubblica accusa, che ha condivisibilmente ritenuto il carattere estorsivo delle imposizioni del Chiazza sul sistema delle pesature. Inoltre, non appare superfluo evidenziare che, nel medesimo dialogo, il Chiazza, in termini oltremodo chiari, ammetteva: di essere effettivamente autore di sistematiche “messe a posto” ai danni dei camionisti ed all’insaputa dal Ribisi, rilevando che le somme riscosse venivano da lui destinate al mantenimento dei sodali stiddari detenuti (“…non Io sapeva nessuno …del centesimo al chilo…del centesimo al chilo…che solo i calabresi mi davano…perché  lo sapevano e lasciavano  isoldi per i detenuti…”);di essere stato, per tale ragione, effettivamente richiamato dal Ribisi il quale lo aveva avvertito che non vi sarebbero stati ulteriori interventi a suo favore da parte della Cosa Nostra palmese (“…risponde Cola Ribisi. ..dice “è meglio non venire qua di là…”). Anche queste ultime battute, provenienti direttamente dalla viva voce dell’imputato. inserendosi in modo armonico nel tessuto probatorio testè illustrato, sono dotate di univoca valenza dimostrativa della permanenza del vincolo associativo di Chiazza Giuseppe con il gruppo degli stiddari: l’esplicito riferimento sia ai detenuti, quale destinazione finale delle somme imposte ai camionisti da Chiazza Giuseppe, sia a Nicola Ribisi, che viene menzionato sia per nome che, per cognome, rafforzano ulteriormente la fondatezza della tesi accusatoria, ribadendo la natura illecita delle imposizioni ed i forti legami tra la stidda e Cosa Nostra. Infine,  altro elemento  idoneo a cristallizzare  la posizione  assunta  da Chiazza Giuseppe  in seno all’associazione di matrice stiddara, è costituito dal mantenimento, da parte dell’imputato, del controllo delle attività criminali sull’impianto della pesatura di Camastra. nonostante i contrasti sorti con Ribisi Nicola. È stato evidenziato,  in punto  di fatto, che il 2 settembre 2021,  Chiazza  Giuseppe  contattava telefonicamente Almanì Ignazio (gestore dell’ impianto) e che questi si giustificava per i mancati introiti degli ultimi giorni (“…niente, apposto…io qua ci sono…ci sono stato io questi quattro giorni qua al bilico!. .. ma non si è fatto niente, Pe’!..”). Chiazza Giuseppe avvisava l ‘imprenditore che lo avrebbe convocato per un incontro di persona il giorno successivo (“…no, io sono qua al paese (a Palma di Montechiaro) …non dico che ci dobbiamo vedere ora ma…se ci possiamo vedere, che so, domani …”). Almanì mostrava al suo interlocutore la massima disponibilità (“..va be’, Pe’ …quello che dici tu …per me…io problemi non ne ho, Pe’!…”). Poche ora più tardi, Almanì Calogero, padre di Ignazio, ricontattava (utilizzando l’utenza telefonica del figlio) Chiazza Giuseppe per affrontare la medesima questione, timoroso che le parole del figlio potessero avere indisposto il Chiazza Giuseppe. Chiazza Giuseppe, nel riferire quanto poco prima appreso da Almanì Ignazio, rivolgeva al padre un implicito ammonimento ad organizzare come meglio ritenevano l ‘impianto, a condizione di corrispondergli i proventi così ricavati (“…dice che ci sta pensando Iui …l’importante che…chiunque sia…”). Mostrandosi consapevole dell’implicita minaccia rivoltagli dal Chiazza, Almanì’ Calogero esternava, in modo esplicito ed inequivocabile, il proprio impegno ad assicurare il pagamento della “messa a posto” destinata al sostentamento dei sodali del Chiazza detenuti e in particolare a Chiazza Antonino, fratello di Chiazza Giuseppe, detenuto dal 2.2.2021 (“…no, no…poi qualche cosa gliela regaliamo a tuo fratello Toni’!…”). Come accertato dalla polizia giudiziaria, nei giorni seguenti il Chiazza, al fine di procedere ad un controllo più stringente dell’attività svolta in seno al!’ impianto, delegava il compito al cognato Carapezza  Baldo, così come emerge dal contenuto di alcune telefonate intercettate sull ‘utenza di Chiazza Giuseppe e così come documentato da un servizio di osservazione predisposto da personale di p.g. nel primo pomeriggio del 15 settembre 2021, in cui veniva accertata la presenza di Carapezza Baldo al bilico in questione. La ricostruzione della pubblica accusa, testè illustrata, è pienamente condivisibile in quanto ancorata al dato letterale delle conversazioni, il cui contenuto – anche laddove gli interlocutori utilizzano un linguaggio ermetico (“…dice che ci sta pensando lui…l’importante che …chiunque sia…”) – è comunque chiaro ed univoco, interpretato sinergicamente nel suo complesso e, in particolare, con i riferimenti espliciti (“…no, no…poi qualche cosa gliela regaliamo a tuo fratello Toni’!…”). in quanto lineare, coerente e non contraddittorio. Altri elementi di prova dotati di ampissima valenza dimostrativa della partecipazione di Chiazza Giuseppe nell ‘associazione mafiosa di matrice stiddara sono costituiti dalla condotta estorsiva (nella forma consumata e tentata) da lui perpetrata ai danni di Consagra, Cosentino e Biancolilla, per la cui ricostruzione del fatto si rinvia ai paragrafi aventi ad oggetto i capi 6), 7) e 8). In questa sede non appare superfluo evidenziare l’importanza del compimento  di più reati fine dell’associazione quale indicatore fattuale della partecipazione all’associazione stessa. Nella fattispecie in esame, la partecipazione di Chiazza Giuseppe al compimento di tre delitti -fine dell’associazione costituisce espressione della partecipazione di Chiazza all’associazione mafiosa di matrice stiddara, trattandosi delle modalità con le quali l’imputato ha manifestato in maniera concreta la sua operatività in favore del perseguimento degli scopi dell’associazione, avuto riguardo alle caratteristiche dei singoli reati, alle modalità di esecuzione degli stessi e, come sopra evidenziato, alla capacità di tali delitti di accrescere la forza criminale dell’associazione nel territorio. Nè sorgono dubbi sulla riconducibilità dei delitti “de quibus” nell’alveo concettuale dei delitti scopo dell’associazione: come si avrà modo di evidenziare analizzando i capi 6), 7) ed 8), trattasi, infatti. non di estorsioni comuni ma di estorsioni aggravate dal metodo mafioso e ciò, in modo incontrovertibile, attrae nell’orbita dei reati scopo dell’associazione di stampo mafioso i delitti de quibus, in quanto oggettivamente suscettibili di rafforzarne il prestigio criminale. La solidità della prova della colpevolezza di Chiazza Giuseppe non può essere scalfita dalle argomentazioni difensive, che non soltanto non si sono misurate con il valore altamente indiziario dei contenuti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali che permettono di ricostruire ogni singolo episodio nei termini sopra delineati, altresì non sono idonee a confutare la fondatezza della tesi accusatori. In ultima analisi, la tesi accusatoria è esente dalle aporie e forzature adombrate dai difensori, e conduce alla enucleazione di una piattaforma probatoria idonea a supportare la fattispecie penale descritta nella imputazione, in quanto riscontrata dagli indicatori fattuali – che emergono dalle intercettazioni telefoniche e ambientali e dagli esiti dei servizi di osservazione e controllo – univocamente evocativi della partecipazione di Chiazza Giuseppe nell’associazione mafiosa di matrice stizzara. Tutte queste fonti, di natura eterogenea, si sono mostrate tra loro pienamente convergenti ed hanno fornito una solida base probatoria a fondamento del sicuro convincimento del Tribunale sulla colpevolezza  dell’imputato. Alla luce delle considerazioni che precedono l’imputato va riconosciuto colpevole del reato a lui ascritto al capo 2). Si configura anche la circostanza aggravante contestata di cui all’art. 71 codice antimafia ricorrendone i presupposti strutturali. Si rammenta in proposito che Chiazza Giuseppe è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale il 5 agosto 2014 (cfr. Pag. 1169 dell’informativa) per la durata di anni 2, fino al 4 agosto 2015; la circostanza aggravante “de qua” si configura laddove il reato sia stato commesso nel periodo in cui il soggetto agente risulti sottoposto alla misura ovvero entro tre anni dalla cessazione; nella fattispecie in esame, la condotta associativa è stata perpetrata dal 2016 e quindi nel periodo sopra detto.”

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