Agrigento

Una testimonianza e un invisibile miracolo per San Calò

Spenti i tamburi, archiviate lacrime e sudore, piedi scalzi, urla e invocazioni, baci,  asciugamenti, bimbi nudi e piangenti, rimane adesso il ricordo della splendida, breve resurrezione felice del popolo di San Calò. Un ricordo che si rifrange e viene alimentato nel corso dell’anno solare di cui le prime due domeniche di luglio rappresentano il punto […]

Pubblicato 6 anni fa

Spenti i
tamburi, archiviate lacrime e sudore, piedi scalzi, urla e invocazioni,
baci,  asciugamenti, bimbi nudi e
piangenti, rimane adesso il ricordo della splendida, breve resurrezione felice
del popolo di San Calò.

Un ricordo che
si rifrange e viene alimentato nel corso dell’anno solare di cui le prime due
domeniche di luglio rappresentano il punto più alto. Chiamatela pure roba
paganeggiante ma tanto per utilizzare un termine antropologico, “le mistiche esplosioni schizofreniche della
plebe”
non vanno disprezzate ma comprese. E di questa festa c’è sempre
molto da capire e da raccontare anno dopo anno. Forse anche da riformare.

Ma vallo a dire
al cuore degli agrigentini che ha le sue ragioni che la ragione non conosce.  

E ci sono
almeno, fra le migliaia, due episodi che meritano di essere raccontati in
questo “San Calò 2019”.

Il primo.

Siamo in piazza
Municipio il pomeriggio della seconda domenica. San Calò attraversa la piazza,
il portone del municipio è chiuso (ma ricordo tanti anni fa il portone fu
aperto e la statua di San Calò fu fatta sostare all’ingresso), i portatori
intercettano la presenza dell’ex-sindaco Marco Zambuto. Lo chiamano e gli
offrono un posto fra di loro per sorreggere la statua. Cosa che Zambuto fa e
per un breve tratto l’ex-sindaco sorregge il fercolo del santo.

Secondo
episodio.

E’ la prima
domenica. Sono le tredici e siamo in migliaia nell’attendere l’uscita del santo
dal Santuario. Ho trovato riparo sotto un albero di fronte la Banca Unicredit.
Siamo una decina stretti l’uno contro l’altro. A stento riesco a posizionare il
teleobiettivo per scattare qualche foto. Una signora anziana con il saio grigio-avorio
dove è stampigliata l’effige di san Calò si avvicina cercando riparo dal sole: “Scusassi ma siamo venuti dal Belgio per una
promessa a San Calò”.
L’anziana si accomoda come può all’ombra e con lei un
altro anziano e alcuni ragazzi adolescenti. Hanno gli occhi fissi su quella
folla assiepata sulla gradinata da cui dovrebbe apparire il viso nero e
aureolato del Santo. 

Che stavolta
emerge lentamente,  in ralenti e senza
gli ondeggiamenti avanti e indietro degli anni passati.  Davvero una apparizione.

I miei rivali
dell’ombra si agitano, gridano, pregano e improvvisamente mi accorgo che
l’anziana signora con un fazzoletto deterge le lagrime dell’anziano che sta
singhiozzando come un bambino. Si avvicina uno di quei giovani, certamente un
nipote, e inizia a stampare baci schioccanti sulle guance dei due anziani  mormorando “un chiangiri nonnò, un chiangiri”.

Ma inutilmente
perché mi accorgo che anche lui sta piangendo. Poi il giovane prende tra le
mani  le due teste canute, se le porta
alle guance e stanno così silenziosi per qualche minuto.

Il fercolo del
Santo è scomparso dietro gli alberi sullo sfondo della Biblioteca comunale,
delle  urla e delle invocazioni si
sente  solo l’eco mentre San Calò inizia
il suo percorso  per via Atenea,  e poi Rabato, Bibbirria, San Gerlando.

Tra le vie di
una città che in tutto quel sole continua a chiedersi se non ci possa essere un
miracolo anche per lei.

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