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Guerra, alleanze e neutralità

di Gaetano Cellura

Pubblicato 2 anni fa

Ma dove andiamo di questo passo? Non certo verso la pace stando agli annunci dell’ultima ora, accolti peraltro con diffuso entusiasmo dai principali governi occidentali. La richiesta della Finlandia di un immediato ingresso nella Nato tende a cambiare il corso della storia, conosciuto e positivamente sperimentato nell’ultimo settantennio. Quel corso – di strategica neutralità di alcuni paesi di frontiera – che è stato finora uno degli elementi di garanzia per evitare lo scontro frontale tra le due superpotenze mondiali.

Andiamo piuttosto verso un’escalation della guerra in Ucraina, un accerchiamento  totale della Russia (1300 chilometri di frontiera la dividono dalla Finlandia) e a quell’allargamento del conflitto odierno che il comportamento provocatorio della Nato e degli Usa, sua principale forza, di fatto favorisce. Le ragioni della pace e della diplomazia passano di giorno in giorno in secondo piano e diventano sempre più remote in questo nostro tempo folle e apocalittico dalla cui notte non riusciamo a uscire per vedere, parole della Bibbia, “un nuovo cielo e una nuova terra”.

Se pensiamo a quel che è stata Helsinki (i suoi accordi internazionali del 1976) e a quel che diplomaticamente ha rappresentato il termine “finlandizzazione” possiamo oggi soltanto convenire mestamente sulla caduta, non solo storica ma anche morale, del concetto nobile di neutralità. Perché dovrebbe essere attaccata la Finlandia dalla Russia (pericolo diretto escluso dagli stessi rappresentanti militari della Difesa finlandese)? Perché Putin dovrebbe cambiare l’ordine mondiale nella parte artica del mondo? Per poter controllare strategicamente il passaggio (via Europa) dei commerci tra l’Oriente e il Nord America – ci si sente comunemente rispondere. Risposta debole rispetto alle cause geopolitiche che hanno scatenato la guerra in Ucraina. Terra di confine attraverso cui la Russia è sempre stata invasa dagli eserciti occidentali. La nostra immaginazione di occidentali e di popoli della terra è in forte e profonda crisi se le armi hanno preso il sopravvento – e in un modo così deciso – sulle ragioni della convivenza pacifica e della neutralità strategica come fattore determinante per la risoluzione dei conflitti.

Stupisce ancor di più che a chiedere l’adesione alla Nato e dunque a proporre l’abbandono della storica neutralità della Finlandia, con la conseguente scomparsa del termine finlandizzazione dal vocabolario diplomatico e della sua importanza per altre importanti aree geografiche del mondo, sia Sanna Marin, la sua giovane premier socialdemocratica con il pronto sostegno del cancelliere tedesco Scholz, altro socialdemocratico dimentico della storica Ostpolitik di Willy Brandt. Quella politica che ha garantito un’epoca di buoni rapporti tra la Germania federale e l’Europa orientale durante la guerra fredda. Il che ci fa interrogare (e dubitare) sull’attuale ruolo delle socialdemocrazie nell’Unione europea: una volta aperte al dialogo e all’autonomia politica ora incapaci di coltivare un proprio  pensiero critico – sulla guerra come sulla pace: se insistere o meno con l’invio di armi sempre più pesanti all’Ucraina – e sottomesse senza particolari riserve a una visione atlantista del mondo.

L’entrata della Finlandia nell’Alleanza atlantica (cui dovrebbe seguire anche quella della Svezia) rappresenterebbe, proprio per i suoi consolidati trascorsi di neutralità, una svolta storica tra le più importanti. La Nato fa sapere di essere pronta ad accoglierla. Anch’essa senza riserve, senza momenti di riflessione sui rischi di natura bellica che quest’accoglienza comporta. E fino al punto di non rendere chiaro quale dei protagonisti in campo – Nato, Russia, Unione europea – abbia più a cuore la sicurezza globale.              

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