Giudiziaria

Il fortino della droga a Licata, cinque condanne: 20 anni di carcere a Michele Cavaleri 

Cinque condanne per oltre mezzo secolo di carcere: 20 anni di reclusione al capo dell'organizzazione

Pubblicato 2 mesi fa



Oltre mezzo secolo di carcere. Il gup del tribunale di Palermo, Stefania Brambille, ha disposto la condanna di tutti gli imputati coinvolti in uno dei tre tronconi del processo scaturito dall’inchiesta Hybris, l’operazione che ha fatto luce su un traffico di droga con base nel quartiere Bronx di Licata. La condanna più alta – 20 anni di reclusione – è stata inflitta a Michele Cavaleri, ritenuto al vertice del gruppo. In alcuni casi le pene disposte dal giudice sono state anche superiori alle richieste dei sostituti procuratori della Dda di Palermo Francesca Dessì e Pierangelo Padova.

Ecco le altre condanne: 15 anni e 8 mesi di reclusione per Concetta Marino; 8 anni e 2 mesi di reclusione per Angelo Sorriso; 11 anni e 6 mesi di reclusione per Lillo Serravalle; 9 anni di reclusione per Ferdinando Serravalle. Nel collegio difensivo gli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Vinciguerra, Debora Speciale, Gaspare Lombardo e Francesco Di Giovanna. L’impianto accusatorio, dunque, regge al primo vaglio processuale. Il giudice ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione a delinquere, al cui vertice c’è Michele Cavaleri, finalizzata al commercio di droga in più province della Sicilia. La base operativa della banda era il quartiere Bronx di Licata, un vero e proprio fortino della droga controllato da vedette e telecamere di sorveglianza.

Si chiude così il primo grado di giudizio di uno dei tre segmenti processuali in cui era stata divisa l’intera inchiesta. L’operazione Hybris, che nel febbraio dello scorso anno culminò con l’arresto di 25 persone, ha portato alla lue l’esistenza e la piena operatività di un gruppo criminale dedito all’importazione, al trasporto e alla vendita di ingenti quantitativi di cocaina. La base operativa dell’associazione è il Bronx di Licata. Un intero quartiere che sembrava inespugnabile ma che invece è stato letteralmente scardinato da un’intensa attività investigativa durata quasi un anno e mezzo.

Perché a controllare e monitorare ciò che avveniva nel quartiere non erano soltanto i poliziotti ma anche gli stessi indagati. Il gruppo, capeggiato e diretto da Michele Cavaleri, aveva infatti allestito un vero e proprio servizio di vigilanza sul territorio: telecamere installate nei vari punti di accesso oltre a vedette e sentinelle pronte a far scattare l’allarme all’eventuale arrivo delle forze dell’ordine. E durante le indagini è emerso come il sodalizio controllasse, ad esempio, gli spostamenti delle pattuglie arrivando anche a contare le automobili e ipotizzare un blitz.

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