Ucciso a 17 anni a Palma di Montechiaro, poliziotto in aula: “Ecco come siamo arrivati all’imputato”
Un delitto che per oltre dieci anni è rimasto un “cold case” fino all’incredibile svolta avvenuta tre mesi fa
Entra nel vivo il processo scaturito dall’omicidio di Antonio Morgana, il diciassettenne di Palma di Montechiaro ucciso con tre colpi di pistola il 23 ottobre 2013. Un delitto che per oltre dieci anni è rimasto un “cold case” fino all’incredibile svolta avvenuta tre mesi fa con il rinvio a giudizio di Calogero Pietro Falco Abramo, sessantanovenne di Racalmuto. L’imputato, libero e non raggiunto mai da misura cautelare, è comparso per la prima volta in aula (difeso dall’avvocato Maurizio Buggea) davanti la Corte di Assise di Agrigento. È accusato di omicidio aggravato e tentato omicidio. La parte civile è rappresentata dall’avvocato Santo Lucia. Al via questa mattina l’audizione del primo testimone. Si tratta di un sostituto commissario, all’epoca dei fatti in servizio a Palma di Montechiaro, che si è occupato dell’attività investigativa.
Il poliziotto, rispondendo alle domande delle parti, ha ricostruito i passaggi che hanno portato gli investigatori sulle tracce dell’odierno imputato. Tra questi la presunta compatibilità della pistola utilizzata per uccidere il ragazzino, una calibro 7.65, con quella legalmente detenuta da Falco Abramo. Arma che non è mai stata rinvenuta nonostante una perquisizione domiciliare. L’uomo avrebbe dichiarato agli agenti che stavano cercando l’arma di aver subito il furto della pistola ma non aver mai denunciato l’accaduto. Un’altra circostanza che ha rafforzato i sospetti della polizia è legata ai tabulati telefonici. L’imputato, secondo quanto emerso, avrebbe telefonato al figlio dieci minuti dopo l’omicidio con la cella telefonica che si è agganciata ad una strada che si trova di fronte l’ospedale San Giacomo d’Altopasso di Licata, il nosocomio in cui era stato trasferito d’urgenza Morgana dopo l’agguato. La Corte di Assise ha rinviato il processo al prossimo 29 febbraio.
A distanza di dieci anni dal delitto, dunque, si registra un primo vero sussulto giudiziario. Alla base dell’agguato, secondo quanto ipotizza oggi la procura di Agrigento, ci sarebbe un piccolo furto messo a segno in un immobile di proprietà dell’imputato. L’omicidio si consuma la sera del 23 ottobre 2013 in contrada Ciotta, nelle campagne di Palma di Montechiaro. Antonio Morgana si trova in un piazzale all’interno di un’auto in compagnia di altri quattro amici: Calogero Pace, Giuseppe Palermo, Mohchine Maukan e Angelo Azzarello. Improvvisamente diversi colpi di pistola calibro 7.65 squarciano il silenzio della notte: due proiettili colpiscono mortalmente Morgana, uno invece ferisce alla gamba Pace mentre gli altri due ragazzi rimangono miracolosamente illesi. Inutile la disperata corsa verso l’ospedale San Giacomo d’Altopassi di Licata. Morgana era già morto. Le indagini sull’omicidio si sono fin da subito concentrate sul possibile movente del furto anche alla luce delle dichiarazioni di uno dei cinque giovani presenti quella notte. Uno di loro, nonostante il buio e le condizioni avverse, fa il nome del presunto assassino agli investigatori, affermando di averlo visto. Si tratta di un 62enne di Palma di Montechiaro che, poco dopo, viene sottoposto a fermo. Una pista che però fa acqua da tutte le parti e non convince del tutto gli inquirenti. Il 62enne, infatti, viene scarcerato poco dopo anche grazie ad un alibi di ferro. La sera del delitto era a giocare a carte al centro commerciale Le Vigne insieme ad altri amici. Così le successive investigazioni hanno portato dritto a Falco Abramo, proprietario di un immobile in contrada Ciotta. A sparare, con l’aggravante della premeditazione, “dopo essersi appostato – e’ l’atto di accusa del pm Baravelli – in un luogo buio e isolato” sarebbe stato Falco Abramo che avrebbe voluto vendicare un furto in casa subito quella mattina di cui riteneva responsabili quei ragazzini.