Mafia

Delitto Borsellino: Enrico Deaglio audito dall’Antimafia regionale

C’è ancora qualcuno, animato da buone intenzioni e non rassegnato, che ci tiene a capire che cosa successe

Pubblicato 3 anni fa

Buone notizie per chi è interessato alla ricerca di verità sull’omicidio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta (domenica 19 luglio 1992).

Lo scrive il giornalista, scrittore e conduttore televisivo Enrico Deaglio in una nota, che così prosegue:

La Commissione Antimafia della Regione Sicilia, presieduta dall’onorevole Claudio Fava, ha iniziato il 2 marzo scorso un lavoro di indagine non solo sul depistaggio (su cui ha già pubblicato una approfondita relazione), quanto sulle implicazioni nazionali di quell’episodio. La decisione è stata presa dopo l’archiviazione, da parte del Gip di Messina, delle accuse contro due magistrati all’epoca in servizio alla procura di Caltanissetta e indagati per la vicenda

L’archiviazione, destinata a stendere l’oblio sulla vicenda, ha trovato dunque un dissenso, da parte della Commissione Antimafia siciliana, che ha deciso di usare i suoi poteri per continuare le indagini e allargarle allo scenario generale in cui avvenne il “più grande depistaggio della storia d’Italia”.

Credo che la Commissione sia oggi l’unica (ultima?) sede che si propone di cercare verità e di non far cadere i crimini di quel periodo nella dimenticanza. Nessun’altra istituzione, che io sappia – né il Csm, né il Parlamento, né il Ministero di Giustizia, né un qualsiasi partito politico, né un qualsiasi gruppo di pressione, nemmeno una delle tante voci che operano sui social media – è interessato a sapere di più dello scempio che è stato fatto di Paolo Borsellino – in vita e in morte. Si è giunti al punto che Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, nella sua richiesta di verità trovi poche voci amiche, e di converso molte intimidazioni.

E’ quindi con molto piacere, e con altrettanta riconoscenza, che ho appreso di essere stato indicato per l’audizione della Commissione che ha aperto i nuovi lavori, il 2 marzo scorso. Il presidente Fava mi ha convocato per le notizie pubblicate in due libri, “Il vile agguato” (Feltrinelli 2012) e “Patria 2010-2020” (Feltrinelli 2020), inizio e proseguimento di un lungo lavoro d’inchiesta sul caso.

Gli argomenti su cui sono stato richiesto di riferire sono stati:

 – i  giochi di potere che permisero al semi sconosciuto commissario Arnaldo La Barbera  di assumere i pieni poteri nell’indagine sull’omicidio, di estromettere voci critiche e di avviare il depistaggio fin dall’inizio. Una posizione di potere alla quale la magistratura sembra essersi più o meno volontariamente sottomessa.

– I legami di La Barbera con i servizi segreti e, nel contempo, con i vertici di Cosa nostra, datati da parecchio tempo; la sua conoscenza diretta di Nino Gioè, uno degli autori materiali della strage di Capaci, ben prima del 1992. La frettolosa archiviazione della morte per impiccagione di Nino Gioè nel carcere di Rebibbia (giugno 1993).

 – la circostanziata –  tanto clamorosa quanto pochissimo nota – segnalazione da parte dell’ambasciatore Fulci (rappresentante dell’Italia alle Nazioni Unite) di un concreto coinvolgimento di uomini del Sismi negli attentati della primavera estate 1993 (Firenze, Milano, Roma) e il drammatico appello che portò – sulla base di quelle notizie –  il presidente della Repubblica Scalfaro a rivolgersi alla nazione a reti unificate (novembre 93).

–  il Falso di Stato che ha circondato la cattura di Salvatore Riina e i suoi postumi.

– La protezione offerta dallo Stato durante tutto il periodo delle stragi al clan dei fratelli Graviano, protagonisti di tutta la scena criminale del 92-93-94; e tenuti per decenni al riparo dalle inchieste giudiziarie.

–  la scandalosa “mancanza di coscienza” che ha coinvolto tutta la magistratura nella vicenda della costruzione del “falso pentito” Vincenzo Scarantino, la cui presenza sulla scena ha di fatto protetto per più di 15 anni i veri colpevoli; e lasciato in cella una dozzina di innocenti per altrettanti anni.

Sono stato ascoltato con molta attenzione, mi sono state rivolte domande molto pertinenti, ho consegnato documentazione che mi era stata richiesta, e indicato altre persone “informate sui fatti”, che possono essere utili all’inchiesta.

La Commissione ha in programma di lavorare per i prossimi mesi, rendendo pubbliche le sue acquisizioni e naturalmente rendendo note alle competenti procure le notizie di reato di cui è venuta a conoscenza.

Questa comunicazione è per dire che, anche se siamo quasi arrivati a 30 anni di distanza da quegli eventi – che peraltro cambiarono la natura della democrazia in Italia – c’è ancora qualcuno, animato da buone intenzioni e non rassegnato, che ci tiene a capire che cosa successe.

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