Il pentito Quaranta nel processo Montagna, i giudici: “Elevato livello di affidabilità”
Nelle oltre 450 pagine di motivazioni i giudici si sono soffermati sulla figura di Giuseppe Quaranta
I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo “Montagna” – lo stralcio ordinario scaturito dall’operazione dei carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento che ha sgominato l’omonimo mandamento mafioso – con cui sono state condannate due persone e assolte altre quattro. In particolare il tribunale ha condannato l’ex sindaco di San Biagio Platani, Santo Sabella, a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. L’altra condanna (4 anni e 9 mesi) riguarda il trentenne favarese Salvatore Montalbano mentre gli assolti sono stati Giuseppe Scavetto, 51 anni, accusato di essere il capo della famiglia mafiosa di Casteltermini, Antonio Scorsone, 55 anni di Favara, Calogero Principato, 30 anni, di Favara, e Domenico Lombardo, 30 anni di Favara.
Nelle oltre 450 pagine di motivazioni i giudici si sono soffermati sulla figura di Giuseppe Quaranta, ex netturbino favarese, per anni reggente della famiglia mafiosa di Favara e anche per un breve periodo referente del boss dell’intero mandamento della Montagna, Francesco Fragapane. Quaranta, che aveva già curato la latitanza di Maurizio Di Gati ed era stato coinvolto nell’operazione Kronos, venne nuovamente arrestato proprio nel gennaio 2018 nell’ambito della maxi operazione Montagna. Pochi giorni dopo decise di collaborare con la giustizia risultando ancora oggi l’ultimo “pentito” (in ordine di tempo) della mafia agrigentina e il principale testimone dell’accusa nel processo.
I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento hanno di fatto dato un “ positivo giudizio sulla attendibilità intrinseca della predetta fonte accusatoria alla luce dei parametri sopra indicati della immediatezza, della spontaneità, della genuinità, del disinteresse, della costanza e della coerenza logica del racconto, dell’assenza di suggestioni, di suggerimenti o di sentimenti di astio nei confronti dell’imputato, ecc.. Ed invero, una prima considerazione positiva si ricava dalla qualità soggettiva del detto collaborante. Si tratta, infatti, di un soggetto che, per sua stessa ammissione, ha rivestito, in un determinato periodo storico, un ruolo di rilievo nell’ambito di “Cosa Nostra” e che, per conto e nell’interesse del detto sodalizio criminale, ha commesso numerosi e gravi delitti. Non vi è dubbio, pertanto, che trattasi di soggetto che deve ritenersi pienamente legittimato a conoscere personalmente e direttamente le vicende dagli stessi narrate. Ne consegue che le dette dichiarazioni, già per questo verso, si presentano corroborate da un elevato livello di affidabilità. Le stesse, inoltre, risultano assistite al loro interno da una piena coerenza logica.
E ancora: “Il citato collaboratore, peraltro, ha reiteratamente e con assoluta costanza e coerenza riferito, sin dall’inizio delle sue propalazioni, lo scenario sopra descritto, tanto che nessun rilevante elemento di incongruenza emerge, sul punto, dagli atti acquisiti e dall’istruzione dibattimentale. Tali dichiarazioni, pertanto, sono assistite non soltanto dalla coerenza – non essendovi mutamenti di versione, o peggio, di successive precisazioni e specificazioni di una qualche rilevanza – ma anche dagli ulteriori requisiti della univocità e della immediatezza. Numerosi, inoltre, sono stati i cc.dd. elementi “individualizzanti” ad ulteriore conferma della piena attendibilità delle dichiarazioni rassegnate dal predetto collaboratore di giustizia. Quanto ai requisiti della spontaneità e della genuinità, agli atti del dibattimento non esiste alcun elemento in ordine alla sussistenza di eventuali fatti o circostanze che abbiano in qualche modo inciso negativamente, anche solo in parte, su tali requisiti. Non risulta, ad esempio, che il Quaranta, sia prima che dopo l’inizio della collaborazione, abbia avuto dei contatti “estemt” teleologicamente orientati a “concertare” o, comunque, “calibrare” il contenuto delle sue propalazioni. Ed ancora, non esiste, nessuna prova, o anche semplice indizio o mero sospetto, in ordine ad eventuali “imbeccate” provenienti dagli organi inquirenti. Infine, la specificità, la precisione, l’organicità e la coerenza delle dichiarazioni rese dal predetto esclude, in radice, la ipotetica possibilità che lo stesso si sia limitato a riferire notizie di mera fonte giornalistiche o, comunque, acquisite al notorio. Sicchè, concludendo sul punto, deve ritenersi acclarata anche la genuinità e la spontaneità di tali dichiarazioni e ciò a prescindere dalle motivazioni che hanno spinto il predetto imputato di reato connesso a collaborare con la giustizia. Ciò posto, non può non rilevarsi che le dichiarazioni rese da Quaranta Giuseppe sono già state positivamente vagliate dall’Autorità Giudiziaria ad ulteriore conferma della loro ritenuta attendibilità.
E infine: “Ed allora, conclusivamente, quanto al disinteresse connesso all’eventuale speranza di beneficiare di trattamenti premiali deve evidenziarsi che il citato collaboratore di giustizia con le sue dichiarazioni, molte della quali peraltro di tipo confessorio, ha indubbiamente aggravato notevolmente la sua posizione processuale, tenuto conto che per molti gravi reati, senza le dette propalazioni, come detto, anche autoaccusatorie non sarebbe mai stato raggiunto, probabilmente, da elementi di colpevolezza. Inoltre, tenendo conto per ottenere i benefici premiali previsti dalla legge non occorre di certo che il collaborante fornisca un numero predeterminato di notizie, essendo determinante la collaborazione in sè, non vi è dubbio il detto imputato di reato connesso avrebbe ben potuto limitarsi a raccontare i tanti episodi delittuosi specificamente commessi dal proprio gruppo di stretta appartenenza certo di ottenere ugualmente i benefici premiali. Se, dunque, non si è limitato in tal senso non è stato certo per la necessità di ottenere i benefici premiali, bensì, per adempiere fino in fondo all’impegno di collaborazione assunto nei confronti dello Stato, dovendosi escludere, non essendo emerso alcun valido elemento in tal senso, alcun intento persecutorio nei confronti dell’odierno imputato.”