La strage del treno 904, riaperte le indagini: si segue pista alleanza mafia, servizi e politica
I processi celebrati in passato hanno dimostrato che la strage di Natale del 1984 era un tentativo di ricatto allo Stato contro l'azione di contrasto alla criminalità organizzata
A quasi quarant’anni dalla strage di Natale, avvenuta sul treno rapido 904 il 23 dicembre 1984, la procura distrettuale antimafia di Firenze ha riaperto un’inchiesta, con nuovi elementi d’indagine, che punta ad accertare le complicità esterne a Cosa nostra in quella stagione stragista. Nuove acquisizioni investigative hanno imposto l’avvio di indagini, seguendo la pista di una presunta ‘alleanza’ tra mafia, servizi deviati ed esponenti politici dell’estrema destra. Per gli inquirenti, come riferisce “La Repubblica”, c’è la necessità di operare un approfondimento “in relazione alla posizione di soggetti all’epoca non coinvolti nel processo (il boss Pippo Calò ed altri imputati) celebratosi a Firenze”. Le indagini coordinate dai procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli sono state delegate più di un anno fa ai carabinieri del Ros. La domenica del 23 dicembre 1984 una bomba esplose nella nona carrozza del rapido 904 Napoli-Milano, mentre percorreva la galleria tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro. Il treno era carico di persone che si spostavano per le festività natalizie. Dentro la galleria i soccorsi furono difficili: morirono 16 persone, i feriti 267. Le indagini e i processi hanno accertato la matrice mafiosa della strage e il ruolo del boss Totò Riina.
I processi celebrati in passato hanno dimostrato che la strage di Natale del 1984 era un tentativo di ricatto allo Stato contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Ma accanto a Cosa nostra sarebbero stati anche altri a progettare quell’attentato, che portò ad una saldatura tra i boss siciliani, i camorristi della Nuova famiglia, uomini della criminalità romana, in particolare della Banda della Magliana, personaggi della destra eversiva e settori deviati delle istituzioni. Tutti legati e collegati da un mafioso, Pippo Calò, che su indicazione di Riina svolgeva un ruolo di cerniera fra questi apparati. Quale era dunque la strategia dei corleonesi negli anni Ottanta e perché Cosa nostra non voleva far capire che a piazzare la bomba sul treno erano stati propri uomini? “Perché voleva distogliere l’attenzione dal maxi processo e dalle indagini che stavano facendo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindi creare una strategia d’azione verso l’Italia, al nord, per distogliere l’attenzione dal sud e poter fare ‘i nostri interessi'”, ha spiegato Giovanni Brusca rispondendo alle domande dei pm, facendo notare che in quel periodo i magistrati di Palermo avevano ordinato centinaia di arresti grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta. “Non escludo che sulla strage al 904 ci sia la mano di Antonino Madonia”, ha aggiunto Brusca, facendo riferimento al boss palermitano vicino ai corleonesi, ma con forti legami con esponenti dell’estrema destra e con apparati deviati delle istituzioni. Secondo un preciso disegno strategico, Riina avrebbe deciso di far apparire l’attentato come un fatto ‘politico’ allo scopo di sviare strumentalmente l’attenzione degli apparati dello Stato dal ‘vero problema’, ossia la ricerca e l’identificazione dei mandanti della strage, che doveva apparire come ispirata da matrice terroristica e quindi avrebbe dovuto distogliere l’impegno della società civile dalla lotta a Cosa nostra, facendo sorgere l’esistenza di un pericolo per le istituzioni e il Paese diverso e maggiore da quello costituito dalla mafia.