Le tensioni tra i clan di Sciacca e Ribera e quel “pizzino” trovato a Totò Riina
Dalle motivazioni della sentenza che condanna Messina Denaro all’ergastolo quale mandante delle stragi del 92 emerge un intero spaccato della mafia agrigentina
Le tensioni tra la famiglia mafiosa di Sciacca e quella di Ribera. I progetti di uccisione di alcuni agenti penitenziari agrigentini in servizio a Pianosa. Il ruolo primario e di egemonia di Matteo Messina Denaro anche nelle dinamiche interne alle famiglie mafiose agrigentine. Le intercettazioni emerse all’interno del consorzio “Sciacca Terme” e molto altro. Sono tutti elementi che spiccano nelle oltre mille pagine di motivazioni depositate negli scorsi giorni dai giudici della Corte di Assise di Caltanissetta alla base della condanna all’ergastolo inflitta al superlatitante, riconosciuto tra i mandanti delle stragi del 1992. Ed è proprio nel ripercorrere la storia di Messina Denaro che emerge un rapporto “speciale” con il territorio agrigentino con particolare riferimento a Sciacca, Ribera, Montevago, Sambuca di Sicilia e i territori del belice.
L’intervento di Messina Denaro nelle controversie della mafia agrigentina
Assume, al riguardo, rilievo la conversazione intercettata il 24 novembre 1992 ed intercorsa tra Ignazio Ambla e Accursio Dimino in cui si trovano ripetuti riferimenti a “Zù Totò” ed al mandamento di Trapani. In tale intercettazioni, in particolare, è contenuta l’espressa indicazione che il rappresentate di tale mandamento (o per meglio dire della provincia) è u “Zù Ciccio”, ossia Francesco Messina Denaro, “sostituito dal figlio Matteo”. La frase pronunciata da Accursio Dimino è: “U zù Ciccio a chi ha! Matteo! Siccome ha la possibilità di girare compare lui in tutte cose!”. L’intervento di Matteo Messina Denaro risulta essersi verificato in occasione di varie crisi insorte tra i componenti delle famiglie agrigentine, anche per questioni di non eccessiva importanza. Ad esempio, nella conversazione del 25 febbraio 1993, si menziona un dissidio insorto a causa della paventata estromissione di un soggetto da una società denominata “Maman Noel”; tale questione risulta essere risolta grazie alle indicazioni contenute in un “biglietto” consegnato dallo stesso Matteo Messina Denaro al La Rocca con destinatario Di Gangi il quale intervenne nella vicenda proprio basandosi sulle istruzioni ricevute dal boss di Castelvetrano. Giù in precedenza Matteo Messina Denaro aveva inviato un altro biglietto contenente le indicazioni per risolvere un’altra questione societaria riguardante tali Barone.
Il progetto di omicidio di un uomo d’onore di Sciacca e il “pizzino” sequestrato a Totò Riina
Gli interventi di Messina Denaro riguardarono, peraltro, questioni ben più importanti. In particolare venne richieste al Messina Denaro l’autorizzazione per compiere l’omicidio di un uomo d’onore, tale Giuseppe Lombardo, e di suo fratello Francesco. Tale omicidio, programmato dal Di Gangi con Ambla e Dimino nell’ambito di contrasti insorti tra il gruppo saccense e il gruppo di Ribera, richiedeva l’autorizzazione di Totò Riina. Pertanto “lo stesso di Gangi ripromette di parlare l’indomani in merito ai programmati omicidi a Messina Denaro, evidentemente per ottenere l’avallo nelle competenti sedi”. Rispetto a tale episodio vi è un importante riscontro costituito da un biglietto rinvenuto in occasione dell’arresto di Totò Riina e Salvatore Biondino, avvenuto pochi giorni dopo la conversazione tra Di Gangi e Ambla. In detta circostanza venne sequestrato un appunto riguardante proprio la questione agrigentina (“Lombardo di Sciacca con il fratello dentro – cosa fare”).