Mafia, confermata sorveglianza speciale per imprenditore di Canicattì
Confermata la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi nei confronti di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73enne imprenditore di Canicattì. Lo ha stabilito la quinta sezione misure prevenzione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta dal giudice Antonio Caputo, che ha rigettato l’appello presentato dall’avvocato Angela […]
Confermata la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi nei confronti di Diego Gioacchino Lo Giudice, 73enne imprenditore di Canicattì. Lo ha stabilito la quinta sezione misure prevenzione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta dal giudice Antonio Caputo, che ha rigettato l’appello presentato dall’avvocato Angela Porcello, difensore di Lo Giudice. La difesa ha già presentato ricorso in Cassazione.
Lo Giudice aveva presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di Agrigento che, nel settembre scorso, aveva disposto la misura personale della sorveglianza speciale nei suoi confronti rigettando (quasi totalmente) quella patrimoniale con cui si chiedeva la confisca dei beni. In tal senso elemento decisivo al fine della valutazione è stata la dimostrazione da parte della difesa di una cospicua somma frutto di vincite di gioco accumulata dalla famiglia nel corso degli anni.
Confermata, invece, la sorveglianza speciale. La pericolosità sociale di Lo Giudice, infatti, è ritenuta attuale e “la persistente riproducibilità della condotta di collaborazione con il sodalizio criminale costituisce un dato di probabile verificazione”. Decisive anche le dichiarazioni di molti collaboratori di giustizia.
La storia di Diego Gioacchino Lo Giudice è collegata alla scalata al vertice della mafia agrigentina del boss di Campobello di Licata Giuseppe Falsone: coinvolto nell’operazione “Apocalisse” del 2010, accusato di essere uno dei prestanome nonché fedelissimi di Giuseppe Falsone che aveva scommesso sul business della grande distribuzione, viene collocato da molti collaboratori di giustizia – da Di Gati a Sardino – alla cerimonia in cui venne formalizzata la nomina di capo provinciale di Cosa Nostra dello stesso Falsone. A quest’ultimo avrebbe anche fornito un covo in cui nascondersi durante la latitanza nella zona di Licata. Un altro episodio lo lega al boss di Campobello di Licata e viene fuori in occasione del suo arresto a Marsiglia quando, fermato dai poliziotti, esibì una patente nautica ottenuta con i documenti intestati a tale Giuseppe Sanfilippo Frittolà risultato essere in seguito un dipendente di un’azienda di Lo Giudice.