Mafia

“Non ti lamentare se poi ti mandiamo cristiani..”, il boss Derelitto e i rapporti con la mafia di Palermo 

Lo storico capomafia di Burgio aveva attivato tutti i suoi contatti con gli esponenti di Cosa nostra palermitana per riscuotere un credito

Pubblicato 2 mesi fa

Uno sgarro che meritava più di un richiamo. Il boss Giovanni Derelitto, capo della famiglia mafiosa di Burgio, deve averlo interpretato in questa maniera il comportamento, ritenuto poco rispettoso nei suoi confronti, di un meccanico titolare di un’officina a Palermo. Il mancato pagamento di un debito, dovuto dalla compravendita di un motore di un veicolo, ha rischiato seriamente di accendere una miccia alquanto esplosiva. L’episodio emerge nell’inchiesta – coordinata dalla Dda di Palermo ed eseguita dai carabinieri di Agrigento – che ha smantellato questa mattina il mandamento mafioso di Lucca Sicula e Ribera. Tra le persone arrestate c’è – appunto – Giovanni Derelitto. Un personaggio di peso nel panorama criminale agrigentino il cui nome – addirittura – compare già a partire dal 1984 con l’operazione “Santa Barbara” per poi riapparire nei blitz “Scacco Matto” e “Eden 5 – Triokolà”. 

E lo spessore criminale di Derelitto emerge in tutta la sua chiarezza in questo specifico episodio fotografato dall’attività investigativa. Derelitto aveva ceduto un componente di motore di un veicolo per cui il meccanico non aveva corrisposto il prezzo. Il tutto manifestando un comportamento “poco rispettoso” nei confronti del boss. Ed è così che il capomafia ha attivato tutti i suoi canali al fine di richiedere l’intervento dei rappresentanti mafiosi del territorio in cui insiste l’officina del meccanico palermitano. Il tutto avvalendosi della collaborazione di Alberto Provenzano, 59 anni, anche lui finito in manette nel blitz di questa mattina. Provenzano ha una storia mafiosa di rilievo. Venne catturato nei primi anni del 2000 nell’ambito dell’operazione “Cupola”, la retata antimafia che permise alla Squadra mobile di Agrigento di interrompere un summit mafioso con oltre una dozzina di boss riuniti attorno ad un tavolo per ratificare l’elezione a capo della mafia provinciale di Maurizio Di Gati

È il 13 febbraio 2022 e Derelitto incarica un suo uomo di fiducia di recarsi a Palermo e andare direttamente dal meccanico minacciandolo di possibili ritorsioni: “Poi non ti lamentare se mandiamo i cristiani…”. L’incontro col meccanico – per nulla intimidito – non ha prodotto nell’immediato l’effetto sperato. Comincia così l’attivazione dei “canali mafiosi palermitani” competenti ad agire nei confronti del meccanico per ragioni territoriali. Siamo nella zona di Villaggio Santa Rosalia. Questa volta il boss incarica direttamente Provenzano a recarsi a Palermo: “Gli dici che mio cugino non è uno che si può prendere per il culo.. gli dici.. non intervenire.. vedete chi è, chi non è .. e appena vi do io lo sta bene intervenite”. Nel giro di pochi giorni sono diversi gli agganci con esponenti di Cosa nostra palermitana. Il primo che Provenzano incontra – 11 marzo 2022 – è Luigi Giardina, cognato del boss Gianni Nicchi, pezzo da novanta della famiglia mafiosa di Pagliarelli. Un altro canale è Giuseppe Trinca, uomo d’onore di Corso Calatafimi. Il 31 maggio 2022 l’ultimo e risolutivo incontro con Enrico Scalavino, detto “Muschidda”, uomo d’onore della stessa zona: “…Mi ha detto che te li deve fare avere…”.

Sul punto il giudice per le indagini preliminari, Filippo Serio, scrive: “Sussistono gravi indizi circa il fatto che Derelitto Giovanni, avvalendosi della collaborazione di Provenzano Alberto, al fine di ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni, abbia fatto ricorso a metodi e strumenti tipicamente mafiosi chiedendo l’intervento dei rappresentanti mafiosi competenti per territorio e individuati in relazione al luogo dove il meccanico esercitava la propria attività lavorativa. Le modalità di ricerca e individuazione dei responsabili mafiosi competenti per territorio (e le modalità di interlocuzione) rivelano la piena adesione sia di Derelitto, sia di Provenzano a regole di comportamento proprie di cosa nostra che impongono la individuazione dei responsabili mafiosi competenti per territorio a cui rivolgersi per la risoluzione di controversie private. I dialoghi rivelano la comune appartenenza degli indagati e dei loro interlocutori palermitani allo stesso tessuto organizzativo criminale e il loro reciproco riconoscimento quali appartenenti alla medesima associazione mafiosa; in altre parole, la comune compenetrazione nel tessuto organizzativo della medesima associazione mafiosa.”

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