Racalmuto, confisca (parziale e minima) dei beni dell’imprenditore Romano
I giudici della seconda sezione misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento hanno disposto la confisca parziale dei beni, di cui era stato disposto il sequestro nel marzo del 2018, dell’imprenditore di Racalmuto, Calogero Romano, 64 anni, condannato in primo grado a 6 anni e 6 mesi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. […]
I giudici della seconda sezione
misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento hanno disposto la confisca parziale
dei beni, di cui era stato disposto il sequestro nel marzo del 2018, dell’imprenditore
di Racalmuto, Calogero Romano, 64 anni, condannato in primo grado a 6 anni e 6
mesi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Lo stesso Tribunale ha respinto
la richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale stabilendo
che non sussiste attualmente alcuna pericolosità sociale dell’imprenditore
Romano, difeso dall’avvocato
Salvatore Pennica, titolare di fatto o di diritto di diverse aziende operanti
in svariati settori, in particolare nell’edilizia, secondo quanto avrebbe
accertato il processo, per circa 15 anni, a partire dal 1992, avrebbe stretto
accordi con i boss del paese – in particolare Maurizio Di Gati, poi diventato
collaboratore di giustizia – per sviluppare le sue attività imprenditoriali.
Romano, in sostanza, avrebbe pagato il pizzo alla mafia in cambio di sostegno.
Contestualmente al processo
penale è stato incardinato un procedimento che aveva portato al sequestro dei
beni: un patrimonio di aziende e proprietà stimato in circa 120 milioni di euro
che, secondo l’accusa, sarebbe stato acquisito per via della contiguità con
Cosa Nostra.
Il collegio di giudici presieduto da Wilma Angela Mazzara, con a latere Manfredi Coffari e Micaela Raimondo, accogliendo anche gran parte delle tesi difensive – facevano parte del collegio, fra gli altri, gli avvocati Salvatore Pennica, Alfonso Neri, Lillo Fiorello e Francesco Accursio Mirabile -, ha rigettato la richiesta di applicazione della sorveglianza speciale, ritenendo che “al di là di sospetti e congetture, non ci sono elementi in grado di provare la pericolosità sociale in un periodo diverso a quello compreso fra il 1992 e il 2006”. Anche la confisca dei beni è stata ridimensionata al solo patrimonio acquisito in quel periodo. E, quindi, la confisca oggi disposta è ben lontana dal patrimonio stimato in 120 milioni di euro ipotizzato nella richiesta proposta da parte della Procura di Palermo.
Sigilli, confermati, al capitale sociale di circa il 35 per cento della Program group racing engeneering, che si occupa della costruzione di impianti sportivi; dell’intero capitale sociale della Romano Srl, che fabbrica fili e cavi elettrici; di un terreno a Racalmuto e di svariati conti correnti e titoli finanziari nonchè di un autocarro. Francamente ben poca cosa rispetto all’iniziale individuazione e quantificazione del patrimonio sospetto di Romano che ha avuto restituiti la maggior parte del beni sottoposti a sequestro.
Ed in tal senso si innesta la richiesta del legale di Romano, Salvatore Pennica, che ha già chiesto all’amministratore giudiziario, diffidandolo, la restituzione immediata di quanto dissequestrato.