Licata

Licata, ricordato Di Salvo, sindacalista ucciso dalla mafia

Stamattina, a Licata, è stata deposta una corona di alloro in ricordo di Vincenzo Di Salvo, operaio e sindacalista assassinato il 17 marzo 1958. L’iniziativa, dal titolo “Ricordando Vincenzo Di Salvo”, è stata promossa da A testa alta, Cgil, Libera e Fillea, sigla sindacale che raccoglie i lavoratori edili e affini e a cui lo […]

Pubblicato 5 anni fa

Stamattina,
a Licata, è stata deposta una corona di alloro in ricordo di Vincenzo Di Salvo,
operaio e sindacalista assassinato il 17 marzo 1958. L’iniziativa, dal titolo “Ricordando
Vincenzo Di Salvo”, è stata promossa da A testa alta, Cgil, Libera e Fillea,
sigla sindacale che raccoglie i lavoratori edili e affini e a cui lo stesso Di
Salvo era iscritto con la carica di segretario responsabile della locale
sezione.

Vincenzo
Di Salvo era nato a Licata il 5 novembre 1922. Quando fu ucciso aveva
trentacinque anni ed era sposato e padre di due figli, Francesco e Antonietta,
rispettivamente di sei e tre anni; la moglie, Angela Carusotto, in grembo
portava il loro terzo figlio, Vincenzo.

Quella
di Di Salvo è una storia di grande impegno sociale e sindacale, di coraggio,
solidarietà e altruismo; una storia sepolta nell’oblio per sessant’anni,
riscoperta, documentata e consegnata da A testa alta alla società civile. Ed è
stata proprio questa associazione, due anni fa, a tirar fuori dai polverosi
archivi documenti su documenti, raccogliendo tutto il voluminoso incartamento
processuale che ricostruisce la sequenza dei fatti a partire dal sopralluogo
effettuato nei primissimi istanti dai Carabinieri di Licata fino alla condanna
definitiva a quattordici anni di carcere per Salvatore Puzzo, giudicato
responsabile dell’omicidio del sindacalista licatese.

Con alle
spalle diversi precedenti penali, indiziato di mafia e ritenuto affiliato al
clan facente capo all’anziano massaro Angelo Lauria, Salvatore Puzzo, dopo il
delitto, si diede alla latitanza. Venne arrestato l’8 settembre 1959 a
Frosinone, dove viveva sotto falso nome.

Gli
interrogatori dei testimoni oculari e i racconti dei compagni di lavoro di
Vincenzo Di Salvo disegnano con precisione il quadro in cui quell’omicidio è
maturato.

La ditta
Jacona di Agrigento stava eseguendo dei lavori a Licata per la costruzione di
una strada in contrada “Stretto” e altre opere per la realizzazione delle
fognature e per l’arginatura del Salso. Circa ottanta i lavoratori impiegati
nei tre cantieri. L’impresa, però, non era puntuale nei pagamenti dei salari,
degli assegni familiari e delle differenze paga; inoltre, non corrispondeva ai
suoi dipendenti gli emolumenti previsti per i lavori disagiati, costringendoli
a lavorare oltre le otto ore previste, con una pausa pranzo di appena mezz’ora.
Per questo, in più occasioni, gli operai avevano proclamato lo stato di
agitazione e da tre a cinque giorni di sciopero. Di fronte alla compattezza
della lotta, all’unità dei lavoratori di tutti i tre cantieri allestiti a
Licata, la ditta alla fine era costretta a sedersi a un tavolo di trattative e
a corrispondere, se non tutte, gran parte delle spettanze agli operai.

Alla
testa di quelle lotte c’era Vincenzo Di Salvo, che dirigeva la Lega Edili,
aderente all’organizzazione unitaria, e contemporaneamente lavorava alle
dipendenze della ditta Jacona, nel cantiere per le fognature cittadine.

Ad un
certo punto, in quel cantiere, si presentò Salvatore Puzzo: «Più volte ci
chiedevamo cosa venisse a fare. Dava un’occhiata in giro e se ne andava. Con
lui c’erano altri elementi maffiosi di fuori i quali diffidavano noi operai a
non insistere nelle richieste dei nostri diritti. Il Puzzo non aveva alcuna
incombenza di lavoro. Veniva a controllarci e basta. S’intrometteva subito pure
se qualcuno degli operai lamentava degli errori nella busta paga, cercando di
convincerlo a desistere. Ne parlammo con il brigadiere Cirota e il segretario
della Camera del lavoro Moscato. La sola sua presenza contribuiva a tenere gli
operai in stato di soggezione. Nel marzo di quest’anno, siccome la paga
ritardava da un mese e mezzo, gli operai di tutti e tre i cantieri decidemmo di
scendere di nuovo in sciopero. Il Puzzo si intromise in tutti i modi per fare
cessare lo sciopero e ad alcuni operai, per indurli a tornare al lavoro, disse
che se la ditta non avesse pagato, avrebbe anticipato lui i soldi».

A
parlare è Vincenzo Burgio, compagno di lavoro di Vincenzo Di Salvo, sentito
all’indomani dell’omicidio e successivamente durante processo. Questa volta c’è
qualcuno parla e che ha avuto il coraggio di denunciare l’accaduto: una svolta
insolita e imprevista nel panorama omertoso che fa da sfondo a uno dei periodi
più turbolenti e sanguinosi della storia di Licata che, dopo l’uccisione del
vecchio massaro Angelo Lauria, vede entrare la discordia nelle varie famiglie
mafiose licatesi per assumere la direzione delle attività criminali.

E
Vincenzo Burgio non è il solo a parlare; lo fanno anche Salvatore Burgio e
Nicolò Gueli, altri due colleghi di Di Salvo testimoni oculari dell’omicidio, e
molti altri lavoratori della ditta sentiti dai Carabinieri la stessa notte e
all’indomani del delitto: «Venerdì 14 marzo presso il Comune vi fu una
riunione, presieduta dal sindaco Santamaria e da aderenti alla C.G.I.L.
Comunque ci fu rassicurato, poi, che avremmo avuto il pagamento sabato 15
marzo, ma non si fece vedere nessuno, né il sabato 15 marzo né la domenica giorno
16. Ci fu comunicato che il pagamento sarebbe certamente avvenuto la sera del
lunedì 17. Tutti gli operai ci riunimmo in Piazza Progresso per attendere il
ragioniere della ditta. Ad un certo momento, venne il rag. Buzzetti, il quale
ci disse che aveva soltanto un milione e che voleva darci un acconto. Siccome
gli operai eravamo circa ottanta ed eravamo in credito di circa un mese e mezzo
di lavoro, data l’esiguità dell’acconto che ci sarebbe toccato, rifiutammo di
accertarlo. Quella sera, ad un certo momento, proprio davanti al centralino
telefonico, vidi il Puzzo con il Di Vincenzo e mi cugino Burgio Salvatore;
quest’ultimo, padre di otto figlie da sfamare e che doveva avere dalla ditta
circa 70.000 lire, rivoltosi al Puzzo gli disse: “perché non ci paghi tu dato
che ti sei messo in mezzo?” Il Puzzo gli rispose: “tu sei ignorante, un
cretino”. La discussione fini lì».

Agghiacciante
il racconto di quei momenti: «Quindi, io, Di Salvo Vincenzo, Burgio Salvatore e
Gueli Nicolò ci avviammo insieme verso la via Bucceri per andare in una bettola
a bere un po’ di vino. Fatto un tratto di strada, fummo raggiunti subito dopo
dal Puzzo Salvatore e dal Di Vincenzo Giuseppe. Il Puzzo ci disse “dove
andate?”. Rispondemmo che eravamo diretti alla bettola. Il Puzzo, invece, ci
disse di proseguire con lui che doveva parlarci. Aggiunse: “vi porto io in un
posto dove si beve del vino buono”. Quando eravamo nei pressi della scala che
porta alla via Santa Maria, la seconda dove c’è la cabina dell’Enel, il Puzzo
ci disse che era molto offeso per il fatto che in pubblica piazza Burgio
Salvatore gli aveva detto che si era intromesso e che quindi i salari doveva
pagarli lui. Subito dopo disse “Questa offesa non me la dovevi fare. Voi non
sapete chi sono io”. A quel punto, Vincenzo Di Salvo rispose: “un cristiano
come noi”. A questa risposta, il Puzzo cominciò ad offendere tutti dicendo che
eravamo dei “pupi”, all’improvviso tirò fuori dal petto una pistola, la mise a
fuoco ed esplose un colpo dalla distanza di circa due metri; attinse il povero
Di Salvo, che era più vicino e che cadde a terra. Appena vidi il Di Salvo a
terra, rimasi di pietra. Vidi che il Puzzo continuava a maneggiare l’arma
tirando fuori l’otturatore all’indietro. Gridai “mamma mia, morto sono” e tutti
noi ci demmo alla fuga. Io mi diressi in caserma».

Altre
numerose dichiarazioni raccolte all’epoca dai Carabinieri sono valida
testimonianza di civiche virtù e di altruismo spinto fino al sacrificio
(«Vincenzo Di Salvo si era messo in mezzo, alla vista dell’arma, per non farlo
sparare») nonché della violenza e prepotenza mafiosa contro la quale il giovane
sindacalista licatese mai ebbe momenti di esitazione.

È la
Corte di Assise di Appello di Palermo a mettere nero su bianco che «L’azione
del Puzzo ben si addice alla sua personalità violenta e prepotente. Egli
infatti ha dei precedenti penali ed è ritenuto dagli inquirenti un mafioso. Il
suo ruolo indefinito in seno all’impresa Jacona (guardiaspalle dell’impresa,
persona di fiducia, sorvegliante, fornitore di materiale) ed il suo
atteggiamento spavaldo e intimidatorio lo rendevano inviso a tutti gli operai,
tanto che ne avevano fatto oggetto di specifica lamentela sia con il Brigadiere
dei Carabinieri Cirota, sia con il Segretario della Camera del Lavoro. Tale individuo
che già aveva mal sopportata la frase pronunziata dal Burgio appena sentì
vieppiù diminuita ed offesa la sua personalità dallo stesso Burgio il quale gli
intimò di non immischiarsi più nelle loro questioni di lavoro, vide cadere
tutto il castello di argilla della sua personalità di uomo di rispetto che
aveva sempre imposto la sua volontà, non uso a sopportare diminuzioni del suo
prestigio ed accecato dall’ira tirò fuori l’arma e fatto qualche passo indietro
fece fuoco attingendo il povero Di Salvo, che si era posto in mezzo per
scongiurarlo di usare l’arma. Tale è senza dubbio il motivo che indusse il
Puzzo al delitto».

Durante
la cerimonia di scopertura della lapide, avvenuta due anni fa, A testa alta
consegnò l’intero carteggio raccolto, circa 600 pagine, alla famiglia Di Salvo
e all’allora assessore del Comune di Licata Annalisa Cianchetti affinché tutti
potessero approfondire la conoscenza di Vincenzo Di Salvo, figura significativa
di coraggiosa ribellione alla logica mafiosa, come quella dell’altro
concittadino Salvatore Bennici, ucciso il 25 giugno 1994 per essersi opposto al
racket di Cosa Nostra.

L’anno
successivo, la Fillea Sicilia istituì una borsa di studio del valore di mille
euro, vinta poi dagli studenti della quarta B del liceo classico “Vincenzo
Linares” di Licata con un bellissimo cortometraggio dal titolo “In ricordo
di un eroe”.

All’iniziativa
di oggi hanno partecipato la Polizia Municipale, l’assessora Laura Termini con
delega ai servizi sociali/solidarietà e l’assessore ai lavori
pubblici/territorio e ambiente Antonio Pira, rappresentanti di varie
associazioni, come la Federconsumatori e il Comitato Civico Cantavenera, e
molti cittadini. Diversi gli interventi, tra cui quelli del segretario della
Fillea agrigentina Vito Baglio, di Irene Santamaria dell’associazione A testa
alta e dello stesso assessore Pira che, a nome dell’amministrazione comunale,
si è impegnato a intitolare una strada al sindacalista Di Salvo.

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