Mafia

Matteo Messina Denaro, il latitante della porta accanto

Matteo Messina Denaro non stava nascosto come Bernardo Provenzano in un ricovero di pastori a Montagna dei Cavalli, non nei bunker sotterranei sulle pendici dell' Etna dove i boss catanesi si seppellivano

Pubblicato 1 anno fa

 Stare sotto gli occhi di tutti. Dissimulare ogni turbamento, relegarlo all’ interno del diaframma. Se incroci chi ti sta dando la caccia, osservarlo con curiosità. La consapevolezza che affrettare il passo, svicolare, questo sì ti potrebbe segnalare e perderti. Nel rapporto con gli altri, gentilezza amabilità. Scambiare Sms con altri malati conosciuti in ospedale, gente che affronta il tuo stesso calvario, metastasi uguali alle tue. Dignità nell’ ascoltare un referto medico infausto. E’ così che va la vita, dunque non ribellarsi, almeno esteriormente, alla condizione umana.

Matteo Messina Denaro non stava nascosto come Bernardo Provenzano in un ricovero di pastori a Montagna dei Cavalli, non nei bunker sotterranei sulle pendici dell’ Etna dove i boss catanesi si seppellivano e respiravano da un periscopio. Il suo stile ricorda quello del suo sodale Totò Riina, immerso con la numerosa famiglia nel verde di un residence a villette nel cuore dei nuovi quartieri cittadini. E allora la luce del sole non la penombra costante del covo tra i monti, una casa più che decente, abiti eleganti senza essere vistosi, uno stile da borghesia agiata in contrade dove vino ed olio generano diffuso benessere economico.

Ed anche frequentazioni femminili, magari farmacologicamente assistite, perché per lo stile d’uomo che si era ritagliato addosso, occorreva anche questa “normalità”. Stare sotto gli occhi di tutti per il superlatitante non veniva avvertito come rischio. Perché tutti, ma proprio tutti, a Campobello di Mazara sanno perfettamente chi siano i Messina Denaro, sanno che questo clan affonda radici nella notte dei tempi ed è dunque utile profilassi non interferire con chi detiene il potere intimidatorio della violenza. Matteio Messina Denaro non temeva perchè sapeva che gli altri nutrivano terrore. Hanno memoria lunga le genti di Campobello e di Castelvetrano, ricordano come la loro mafia seppe chiudere l’affaire Salvatore Giuliano, che vedeva lo Stato negli anni turbolenti del dopoguerra umiliato dal banditismo, anche se aveva schierato l’ Esercito. E lo Stato si rivolse alla mafia per regolare i conti con il bandito, il cui cadavere fu fatto trovare nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano per inscenare un conflitto a fuoco con i carabinieri. Il primo di una lunga scia di misteri. (ANSA).

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