Sentenza appello ribalta primo grado: licenziati due autisti Tua
La Corte d'Appello ha ribaltato il verdetto del Tribunale di Agrigento
La sezione lavoro della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Maria Di Marco, ha disposto il licenziamento di due autisti della Tua – azienda che si occupa del trasporto urbano nella città dei Templi – ribaltando dunque il verdetto del Tribunale di Agrigento che, in precedenza, li aveva reintegrati. La vicenda risale al 2017 quando l’azienda incaricò un investigatore privato per fare luce su una serie di condotte ritenute illecite da parte di alcuni autisti consistite nella vendita a bordo di titoli di viaggio di tariffa A in luogo di quelli in dotazione agli autisti di tariffa B (i primi non possono essere venduti a bordo) e nell’appropriazione di somme di denaro derivante dalla vendita dei biglietti. Per questo motivo la Tua procedeva al licenziamento dei due autisti che però, impugnando il provvedimento, avevano ottenuto il reintegro dal Tribunale di Agrigento. Adesso la Corte d’Appello di Palermo ha ribaltato il verdetto ritenendo fondati i motivi di reclamo proposti dai difensori della TUA. S.r.l. avvocati Carlo Boursier Niutta, Valerio Scelfo e Roberto Scelfo ed ha riformato le prime due sentenze del Tribunale di Agrigento confermando il licenziamento di Giuseppe Danile e Andrea Russo De Carmelo, dichiarando dunque estinto il rapporto di lavoro.
Parallelamente la Tua ha anche presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Agrigento che, lo scorso gennaio, ha chiesto il rinvio a giudizio di dieci autisti per l’ipotesi di reato di truffa aggravata e interruzione di pubblico servizio. La Corte di Appello nelle due sentenze ha evidenziato come la specifica condotta debba essere inserita in un unitario e concorrente disegno doloso ed il danno economico debba essere ritenuto rilevante. In particolare, dopo i licenziamenti, la società ha provato un incremento di vendite a bordo “vertiginoso”. La Corte ha, altresì, accolto la tesi della società secondo cui laddove il fatto fosse stato accertato, ma il giudice riscontrasse vizi procedurali nell’applicazione della sanzione disciplinare (in base al R.D. 148 del 1931) al lavoratore sarebbe spettato semplicemente un risarcimento, così come stabilito dalla riforma Fornero e come riconosciuto dal giudice parallelamente all’estinzione del rapporto di lavoro.