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Ecco come funziona il “paracco” di Palma di Montechiaro

Le loro iniziative criminali vengono solitamente concordate e/o approvate dal referente di cosa nostra di turno

Pubblicato 3 anni fa

Come emerge da sentenze divenute definitive e acquisite agli atti del presente fascicolo il “paracco” (termine dialettale che può essere tradotto in italiano con “paracqua”, “parapioggia”, “ombrello”, a simboleggiare la sua funzione di copertura e protezione per gli associati) è una cosca basata su un primitivo tribalismo amorale ed organizzata per compiere ogni sorta di attività, anche illecita, e di cui possono fare parte anche soggetti non tipicamente criminali.

L’esistenza della associazione mafiosa “Cosa nostra” e di altre organizzazioni di stampo mafioso denominate “paracchi” nel  territorio della provincia  di Agrigento  è stata accertata da numerose sentenze irrevocabili

Tra esse, deve in primo luogo essere ricordata quella emessa dal Tribunale di Agrigento il 14 giugno 2002, particolarmente importante perché pronunciata anche a carico dell’odierno indagato Rosario Pace. In  quel provvedimento  giudiziario si trova infatti la ricostruzione ancora oggi attuale secondo cui la consorteria mafiosa di Palma di Montechiaro è organizzata sul modello delle formazioni “stiddare” e si incentra sul “paracco” di Rosario Pace, classe 1960, capo indiscusso della consorteria e punto riferimento per tutti gli associati per la risoluzione di ogni questione o conflitto.

Da evidenziare, inoltre, giacché fornisce una penetrante chiave di lettura valida anche per apprezzare gli elementi acquisiti nella presente indagine, il passaggio della motivazione della sentenza citata in cui venivano icasticamente delineate le “sfere di competenza” della consorteria mafiosa palmese:

a)         un “braccio armato” riconducibile al nucleo dei Pace (detti “Cucciuvì”), garante dell’ordine interno ed esterno dcl sodalizio;

b)         un’ala imprenditoriale, specializzata nelle turbative delle gare di appalto e nelle estorsioni agli imprendito1i esterni;

c)         i meri affiliati, per lo più attivi nel settore del movimento terra, che partecipano alle

estorsioni;

d)        un capo riconosciuto da tutti: Rosario Pace (classe 1960) che veniva condannato alla pena di undici anni e nove mesi di reclusione il delitto previsto dall’art. 416 bis c.p..

Sulla scorta di tale sintetica ricostruzione “storica” delle vicende del “paracco” di Palma di Montechiaro, sarà più agevole apprezzare il pregnante valore indiziario delle acquisizioni più recenti, iniziando dalle propalazioni  dei  collaboratori   di  giustizia  Giuseppe  Quaranta,  Maurizio  Di Gati  e Franco  Cacciatore  sulla  specificità  dei gruppi criminali  operanti  nel territorio di Palma di Montechiaro e di Favara.

Risulta dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia dcl territorio agrigentino – sia di quelli “storici” come Di Gati e Cacciatore, sia di quelli più recenti come Giuseppe  Quaranta – che a Favara (così come a Palma di Montechiaro) convivono molteplici piccoli gruppi criminali, nati originariamente per vincoli familiari o amicali, che operano in assoluta autonomia, cercando di evitare possibili contrasti con gruppi concorrenti, al fine di mantenere  quella pax territoriale richiesta da Cosa Nostra, organizzazione a loro sovraordinata e verso cui sono pronti a rendersi disponibili qualora venga loro richiesto.

Tali gruppi operano sotto una sorta di supervisione e/o tolleranza dei locali esponenti mafiosi, ai quali comunque rendono conto e che chiamano ad intervenire autorevolmente in caso di dispute o attriti tra i vari gruppi.

Le  loro  iniziative   criminali  vengono   solitamente   concordate   e/o  approvate   dal referente  di cosa nostra  di turno, il quale può anche chiedere a tali gruppi ausilio in termini di bassa manovalanza criminale, inclusa la esecuzione di omicidi se necessario. 

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