Buon compleanno Pippo Fava. “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?”
Il suo essere giornalista era fatto di scomode verità, di indagini che toccavano le alte sfere catanesi, di analisi che inchiodavano le responsabilità della gente perbene solo per mera convinzione sociale
Giuseppe Fava oggi avrebbe compiuto cent’anni. E scrivere il suo nome significa, inevitabilmente, scrivere di una persona perbene. Non solo della sua vita interrotta da cinque colpi di pistola la sera del 5 gennaio 1984, davanti al teatro Stabile di Catania. Non solo del giornalista che aveva fondato “I Siciliani” e che aveva osato raccontare i legami tra mafia, politica e affari in una Sicilia che preferiva tacere. Scrivere di Fava significa interrogarsi su ciò che resta della sua lezione e su quanto ancora siamo disposti ad ascoltarla.
La tentazione delle ricorrenze, come quella di oggi, devo dire un po’ dimenticata, è quella di ripetere formule solenni: il coraggio, l’impegno civile, l’eroismo. Ma Fava non era un eroe da lapide: era un uomo che sceglieva ogni giorno, con ostinazione, da che parte stare. E la sua scelta era chiara: stare dalla parte della verità, della sua terra che non smetteva di denunciare e di amare.
Il suo essere giornalista era fatto di scomode verità, di indagini che toccavano le alte sfere catanesi, di analisi che inchiodavano le responsabilità della gente perbene solo per mera convinzione sociale e non della periferia criminale, ma ai vertici della società. E per questo venne isolato, accusato, infine condannato da quella stessa mafia che aveva osato guardare in faccia.
Oggi resta intatta la sua lucidità: la mafia non è folclore nè residuo del passato, ma un sistema che cambia volto e continua a insinuarsi dove trova terreno fertile. Resta intatto il suo insegnamento più semplice e più radicale: non si può restare neutrali. Non lo può un giornalista, non lo può un cittadino.
Ecco perché il suo centenario non è soltanto un anniversario. È un impegno che ci riguarda, oggi, in un tempo in cui le verità si confondono con le bugie e la memoria rischia di scivolare via tra i rumori del presente. Vale allora la pena chiudere con le sue stesse parole, che suonano come un lascito e come un monito: “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?” Oggi, cento anni dopo la sua nascita, quella domanda non ha perso un grammo della sua forza. Sta ancora lì, davanti a noi. E pretende risposta.