Funerali solenni per il primo degli umili di Agrigento
Diciamolo francamente, nessun politico (o canterino) potrà mai sognare un simile tributo di affetto e superare la prova del “sold out”
Una stoccata magistrale, una rivalsa dei comuni, umili cittadini questi solenni, affollatissimi funerali per Alfonso Restivo detto Fofò Purtusu.
Un controcanto, una divaricazione che si è aperta improvvisamente fra le classi sociali che abitano questa Agrigento continuamente “incantata e infiammata” (così hanno scritto i giornali) dal primo canterino che arriva sulla scena del Teatro di San Gregorio.
Diciamolo francamente, nessun politico (o canterino) potrà mai sognare un simile tributo di affetto e superare la prova del “sold out” di una cattedrale di San Gerlando affollata in ogni ordine di posti e perfino nelle navate laterali. Una cerimonia funebre, quella officiata da don Pontillo e dal coro di 14 presbiteri, che ha riportato l’attenzione sui luoghi della memoria collettiva e che ha significato tornare a dare importanza a un momento che nell’ottica cristiana è considerato il passaggio verso la vita eterna.
Una condivisione sociale del lutto che ha pochi precedenti, superiore a quella dei funerali dell’on. Luigi Giglia negli anni 80 e chi scrive ne è stato testimone.
Sobria e indicata l’impostazione polifonica che ha “accompagnato e non salutato” (ha detto don Pontillo) Alfonso Restivo e tra i cori ecclesiali si è aggiunto alla fine quello della congregazione cui Fofò apparteneva, quel “versate lacrime” che si canta nella processione della Via Crucis.
E che tra i 2000 e oltre requiem che si sono composti nell’arco dei secoli il “versate lacrime” è diventato l’inno più riconoscibile, di solito eseguito senza strumenti, orecchiabile e popolare. Stavolta per Fofò, l’inno è stato accompagnato dall’organo trionfante della cattedrale.
A ragione tutti abbiamo detto che se ne va un pezzo di Agrigento, ed è verissimo anche per le nuove generazioni che non sanno che i Restivo sono stati i custodi della cattedrale e addirittura della città. Ci racconta lo storico Settimio Biondi che abbiamo incontrato il pomeriggio della scomparsa di Fofò per la presentazione del libro “Don Sisì” (personaggio sconosciuto a gran parte degli agrigentini) che l’ingiuria “purtusu” Fofò l’aveva ereditata dal padre, don Turiddu, il quale durante la Seconda guerra mondiale se ne stava 24 ore su 24 sul campanile della cattedrale, incaricato di attivare la sirena per dare l’allarme dei bombardamenti.
“Un uomo meraviglioso – dice Settimio Biond i- che di notte al lume di candela sorvegliava perfino l’esterno della cattedrale. L’appellativo “purtusu” gli derivava dal fatto che lui andava a caccia di colombi nei pertugi delle mura della cattedrale.
“Sono veramente desolato – continua Biondi – perché mi viene di collegare la vicenda di due maschere agrigentine, quella di un umile, il Fofò primo dei poveri, scimmiottato magari, e quella di “Don Sisì” primo dei ricchi agrigentini, borghese e ignorato.
Ma questa di don Sisì è un’altra storia, incredibilmente vera, scritta dall’agrigentino Alessandro Finazzi Agrò che ci rimanda ad una Agrigento dalle eredità agricole e antropologiche che “i giovani d’oggi non sono in grado di percepire” scrive l’autore.