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Il femminicidio di Lorena Quaranta e il “caso” del giurato: si aspetta la Cassazione

Bisognerà attendere il prossimo 23 maggio per sapere se la condanna al carcere a vita nei confronti dell’imputato verrà annullata

Pubblicato 12 mesi fa

La Corte di Assise di Appello di Messina ha chiamato e subito rinviato al prossimo 23 maggio il processo per il femminicidio di Lorena Quaranta, l’aspirante medico di Favara, uccisa la notte del 31 marzo 2020 in un appartamento di Furci Siculo. 

Questa mattina, davanti la Corte presieduta dal giudice Carmelo Blatti, era in programma la prima udienza del processo di secondo grado a carico di Antonio De Pace, infermiere calabrese, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della giovane fidanzata. Un verdetto su cui però incombe qualche incertezza. Bisognerà attendere il prossimo 23 maggio per sapere se la condanna al carcere a vita nei confronti dell’imputato verrà annullata. 

La difesa, rappresentata dagli avvocati Salvatore Silvestro e Bruno Ganino, ha infatti sollevato nell’atto di Appello l’invalidità del processo di primo grado poiché uno dei membri della Corte avrebbe superato la soglia dei 65 anni di età non potendo dunque far parte del collegio. Un richiesta su cui dovrà esprimersi la Corte di Appello che però ha deciso di rinviare di due settimane anche alla luce del pronunciamento della Cassazione che, proprio domani, affronterà un caso analogo. I giudici di Messina, dunque, attenderanno il verdetto della Cassazione prima di sciogliere la riserva. L’avvocato Giuseppe Barba, che rappresenta i familiari di Lorena, si era così espresso: “Ogni processo ha la sua storia e ci sono indirizzi della dottrina e della giurisprudenza che ritengono assolutamente ammissibile come requisito quello del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età al momento della sottoscrizione del verbale di giuramento”.

Il femmicidio di Lorena Quaranta si consuma nella notte del 31 marzo 2020 all’interno di un appartamento di Furci Siculo, nel messinese, che i due giovani condividevano. E’ stato lo stesso De Pace, dopo aver strangolato Lorena, a chiamare i carabinieri al telefono: “Venite, ho ucciso la mia fidanzata”. Il movente non è mai stato del tutto chiaro. L’infermiere calabrese ha infatti sostenuto, almeno nelle prime fasi delle indagini, di avere ucciso la giovane fidanzata perché convinto di aver contratto il Covid-19 a causa sua. Una circostanza poco credibile e smentita immediatamente grazie ai successivi esami effettuati. 

La Procura di Messina, inoltre, ha contestato l’aggravante della premeditazione a De Pace sostenendo l’ipotesi che il delitto fosse stato ideato e pianificato in base al fatto di aver inviato alcuni messaggi ai parenti più stretti manifestando la volontà di trasferire i propri risparmi ai nipoti. Questa circostanza, però, è stata esclusa dai giudici della Corte di Assise di Messina. 

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