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L’omicidio del marmista di Cattolica Eraclea, 24 anni di carcere a Gaetano Sciortino 

L’operaio è stato condannato a 24 anni di carcere per l’omicidio di Giuseppe Miceli, marmista di Cattolica Eraclea ucciso all’interno del suo laboratorio nel 2015

Pubblicato 8 ore fa

Ventiquattro anni di reclusione, due in più di quanti richiesti dall’accusa, per l’omicidio di Giuseppe Miceli, il marmista di Cattolica Eraclea ucciso il 6 dicembre 2015 all’interno del suo laboratorio in via Crispi. Lo ha disposto la Corte di assise di appello di Palermo, presieduta dal giudice Matteo Frasca, che ha condannato il sessantenne Gaetano Sciortino, operaio anche lui di Cattolica Eraclea.

Si chiude, dunque, anche il processo-bis scaturito dall’efferato delitto che un decennio fa aveva sconvolto il tranquillo paese dell’agrigentino. I giudici, nel secondo processo di appello dopo l’intervento della Cassazione, hanno di fatto confermato la stessa condanna che era stata inflitta dalla Corte di assise di Agrigento nel 2022. Un iter giudiziario lungo e complesso. L’imputato, difeso dagli avvocati Santo Lucia e Giovanna Morello, venne condannato a 24 anni di carcere in primo grado nonostante la richiesta dell’ergastolo avanzata dalla procura di Agrigento. In secondo grado, invece, il ribaltone con una sentenza di assoluzione “perchè il fatto non sussiste”. Poi un nuovo colpo di scena con l’intervento della Cassazione che annullò l’assoluzione disponendo l’attuale processo-bis.

L’omicidio di Giuseppe Miceli, piccolo artigiano di Cattolica Eraclea, si consuma nel dicembre 2015 con il ritrovamento del cadavere all’interno del suo laboratorio. Chi ha agito lo ha fatto con estrema efferatezza, utilizzando come armi del delitto alcuni attrezzi e un’acquasantiera in marmo. Gaetano Sciortino venne arrestato dai carabinieri due anno dopo. Ad “incastrarlo” – secondo l’ipotesi accusatoria – ci sarebbero stati alcuni elementi: il ritrovamento di una scarpa in un’area rurale la cui impronta sarebbe compatibile con quella repertata dai RIS sulla scena del crimine; il presunto pedinamento del giorno precedente e la distruzione di alcune punte da trapano da parte dei figli dell’imputato (intercettati) che appartenevano alla vittima. Il movente, ipotizzato inizialmente in una rapina andata male, tuttavia ancora oggi rimane un mistero e bisognerà attendere le motivazioni che saranno depositate entro tre mesi. I familiari della vittima si sono costituti parte civile tramite gli avvocati Antonino Gaziano e Rino Di Caro.

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