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Mafia e massoneria a Licata: contestato il voto di scambio al boss e all’ex consigliere comunale

Le inchieste antimafia condotte nel comune di Licata denominate Halycon e Assedio e riunificate per dar vita ad un unico processo si arricchisce di un nuovo ed importante capitolo giudiziario che onera due tra i più significativi imputati, ossia il boss mafioso Angelo Occhipinti e l’ex consigliere comunale Giuseppe Scozzari, attuale dirigente dell’Asp di Agrigento, […]

Pubblicato 4 anni fa

Le inchieste antimafia condotte nel comune di Licata denominate Halycon e Assedio e riunificate per dar vita ad un unico processo si arricchisce di un nuovo ed importante capitolo giudiziario che onera due tra i più significativi imputati, ossia il boss mafioso Angelo Occhipinti e l’ex consigliere comunale Giuseppe Scozzari, attuale dirigente dell’Asp di Agrigento, a rispondere anche del reato di (chiunque accetta, direttamente o a  mezzo  di  intermediari,  la  promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio  dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità  o  in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le  esigenze dell’associazione mafiosa è punito con la pena stabilita  nel  primo comma dell’articolo 416-bis. La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.  Se  colui  che  ha  accettato  la  promessa  di  voti,  a   seguito dell’accordo di  cui  al  primo  comma,  è risultato  eletto  nella relativa consultazione elettorale, si applica la  pena  prevista  dal primo comma dell’articolo 416-bis aumentata della metà.   In caso di condanna per  i  reati  di  cui  al  presente  articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici”).

La contestazione formale è stata notificata ad entrambi gli indagati lo scorso 6 luglio ed ha il seguente tenore:Il Pubblico ministero, mediante contestazione suppletiva modifica l’imputazione nei confronti di AngeloOcchipinti contestando altresì il seguente reato: delitto di cui agli artt. 416 ter II comma c.p. perché, quale capo della famiglia mafiosa di Licata e già pregiudicato per associazione per delinquere di stampo mafioso, prometteva a Giuseppe Scozzari (nei cui confronti si procede separatamente), candidato alle consultazioni per l’elezione del Consiglio comunale di Licata tenutesi il 10 giugno 2018, di procurargli voti con le modalità di cui al terzo comma dell’art 416 bis cp in cambio della promessa dello Scozzari di erogare utilità consistenti nel garantire (quale responsabile del servizio tecnico del presidio ospedaliero di Licata ed influente funzionario dell’Asp di Agrigento) corsie preferenziali per l’accesso ai servizi dell’Asp ai soggetti indicati dello stesso capomafia Occhipinti o comunque a quest’ultimo vicini e nell’assicurare, una volta eletto il proprio appoggio per la risoluzione di eventuali questioni di interesse dello stesso Occhipinti (appoggio poi effettivamente verificatosi dopo l’avvenuta elezione, attraverso il proprio interessamento all’interno del Comune e presso altri uffici). Con la aggravante di cui all’art. 71 d.lgs. 159 del 2011 per avere commesso il fatto mentre si trovava sottoposto alla sorveglianza speciale ed in ogni caso nei tre anni successivi dl quando ne era cessata l’esecuzione, poiché allo stesso veniva applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di cinque anni”.

Il grave provvedimento giudiziario era da tempo nell’aria ma si è materializzato dopo la sentenza della Suprema corte che aveva rigettato il ricorso avverso la cattura di Scozzari motivando in questi termini: Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Palermo, in funzione di Giudice del riesame cautelare personale, riqualificate le condotte contestate all’odierno ricorrente ai sensi dell’art. 416ter cod. pen., ha confermato l’ordinanza del Gip del Tribunale di Palermo 11 luglio 2019 che avevaapplicato a carico dell’indagato in epigrafe la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Propone ricorso per cassazione l’indagato, Giuseppe Scozzari, articolando i seguenti motivi.

Violazione degli artt. 416 ter comma primo cod. pen. e 273 comma primo cod. proc. pen. nonchè vizio di motivazione nella parte in cui risulta essere stata affermata a carico dell’indagato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di scambio elettorale politico-mafioso. Secondo la difesa del ricorrente, gli elementi di fatto non rientrerebbero nel dettato della norma incriminatrice perché risulterebbe del tutto erronea l’individuazione dei requisiti giuridici che connotano l’ipotesi di reato affermata dal Tribunale del riesame. Mancherebbe negli elementi indicati alcuna previsione dell’utilizzo della sopraffazione e della forza di intimidazione quali modalità di reperimento dei voti in quanto nel caso di specie l’esponente mafioso avrebbe agito uti singuli come desumibile dalla presenza di vincoli familiari tra i protagonisti della vicenda; vincoli familiari costituiti dal fatto che il ricorrente è cognato del marito della figlia della storica convivente dell’esponente mafioso. Mancherebbe inoltre la prova di elementi indicativi dell’esecuzione da parte dell’esponente mafioso di atti intimidatori o di prevaricazioni mafiose per il reperimento di voti in favore delricorrente. 

Risulterebbe inoltre che le richieste di appoggio elettorale sarebbero state fatte dall’esponente mafioso a titolo personale ed amicale, nei confronti di appartenenti al sodalizio mafioso o nei confronti di prossimi congiunti tanto da sentirsi replicare l’impossibilità da parte di EmanueleSpadaro di fornire l’appoggio richiesto. 

Le utilità indicate in sede di provvedimento impugnato (il regalo di una lavatrice e i consigli e l’appoggio forniti in merito ad una controversia sorta con il Comune) risulterebbero irrilevanti posto che, in relazione all’epoca dei fatti, doveva farsi riferimento alla formulazione della norma antecedente alla modifica apportata dalla legge 21 maggio 2019 n. 43, con la conseguenza che l’utilità corrispettiva alla promessa di procurare voti mediante modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis avrebbe dovuto essere alternativamente l’erogazione di denaro o di altra utilità e non la generica disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa. Infatti, il riferimento alla disponibilità compare solo con la novella del 2019 e, pur essendo già presente nei lavori parlamentari di riforma della norma del 2014, era stato espunto in sede di approvazione finale.

Vizio di motivazione in relazione all’omessa valutazione della incidenza decisiva dei vincoli parentali esistenti tra l’indagato e gli esponenti mafiosi, dedotta dalla difesa.Vizio di motivazione in relazione al fatto che la possibilità di accedere alle prestazioni sanitarie potesse essere la controprestazione dell’appoggio al candidato posto che già in precedenza costui aveva fornito aiuti a soggetti indicati dall’esponente mafioso (tale Cavaleri, amico dell’Occhipinti e il Semprevivo).

Vizio di motivazione in relazione al travisamento di un elemento probatorio decisivo costituito dalle intercettazioni nel contesto delle quali il Tribunale del riesame non avrebbe colto che l’interessamento non era in relazione a una prestazione non dovuta ma in relazione a una visita prenotata in precedenza che non aveva potuto essere resa (come risulta dal tenore letterale dell’intercettazione) con conseguente obbligo, ratificato nelle stesse linee guida procedurali del Cup dell’Asp di Agrigento, di altro medico di provvedere anche al di fuori di qualsivoglia lista d’attesa.

Violazione degli artt. 274-275 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla affermata sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare l’applicazione degli arresti domiciliari. Secondo il ricorrente, la presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275 cod. proc. pen. avrebbe dovuto ritenersi superata a fronte di un quadro di assoluta inconsistenza indiziaria carico del prevenuto in relazione a quanto indicato nei motivi precedenti.

Secondo la difesa, non sussisterebbe alcun grave indizio in ordine al fatto che l’odierno ricorrente abbia posto in essere né un concorso esterno in associazione mafiosa come originariamente ipotizzato né uno scambio elettorale politico mafioso riproponendo testualmente, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 416 ter cod. pen., le considerazioni svolte in relazione all’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa dal Gip presso il Tribunale di Agrigento che aveva affermato che l’indagato aveva chiesto ed ottenuto il sostegno elettorale di Angelo Occhipinti e del suo gruppo ma che risultava anche la mancanza di alcun atto amministrativo del Comune di Licata in relazione al quale l’indagato avesse tenuto condotta di sostegno all’esponente mafioso e la presenza unicamente di una telefonata per fare ottenere una visita in favore dell’amante dell’esponente mafioso medesimo. Di conseguenza, le condotte esecutive dell’accordo risulterebbero di scarsa rilevanza e comunque estranee alla realizzazione del programma criminoso della societas scelerum. Secondo il ricorrente, ancora unavolta riprendendo le considerazioni del Gip presso il Tribunale di Agrigento, la disponibilità a far “saltare” le liste d’attesa a terzi soggetti sarebbe un malcostume non ricollegabile alla criminalità mafiosa e comunque irrilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento della capacità organizzativa dell’associazione illecita medesima. Mancherebbe, inoltre, la dimostrazione che la condotta dell’indagato avrebbe prodotto un effettivo rafforzamento dell’attività della consorteria. Mancherebbe inoltre alcuna prova dello scambio di promesse oggetto del contratto illecito posto che le prestazioni “sanitarie” dell’indagato non potrebbero essere considerate controprestazione dell’accordo sinallagmatico.

Mancherebbe la prova che l’indagato sapesse che l’Occhipinti apparteneva ad associazione mafiosa e che i voti sarebbero stati reperiti con le modalità mafiose di cui all’art. 416 bis comma terzo cod. pen. dovendosi ricordare che il patto elettorale illecito rientrante nel fuoco dell’art. 416 ter non può essere semplicemente considerato il mero scambio contemplante la promessa di voti contro l’erogazione di denaro ma deve prevedere l’utilizzo della sopraffazione della forza di intimidazione quali modalità di reperimento dei voti; modalità che nel caso di specie non risulterebbero in alcun modo sussistenti o programmati. Risulterebbe che l’indagato avesse chiesto voti all’esponente mafioso con le medesime modalità e finalità con cui aveva chiesto il voto a tutti cittadini di Licata Secondo il ricorrente, mancherebbero in radice le esigenze cautelari posto che, in assenza di indizi di colpevolezza, non si potrebbe ipotizzare il pericolo di inquinamento di una prova inesistente così come la possibilità di reiterare un delitto che l’indagato non avrebbe commesso; l’indagato, peraltro, svolge un lavoroda cui trae il proprio sostentamento e risulta incensurato. Ne conseguirebbe, quindi, la mancanza delle esigenze cautelari e comunque la mancanza di attualità e concretezza delle esigenze stesse posto che l’indagato si è dimesso dalla carica di consigliere comunale in data 22 giugno 2019.

Violazione dell’art. 275 comma terzo cod. proc. pen. non avendo motivato il giudice della cautela in maniera specifica in ordine alle ragioni per le quali risulterebbero inadeguate le altre misure coercitive ed interdittive.

Vizio di motivazione in difetto della esposizione delle ragioni logico giuridiche che hanno portato all’emanazione del provvedimento contestato (così letteralmente l’esposizione dell’ultimo motivo di ricorso)

La Cassazione dopo aver esaminato i ricorsi degli avvocati Giovanni Di Benedetto e Angelo Balsamo che assitono Scozzari, afferma: Il ricorso è infondato. I motivi inerenti alla sussistenza della gravità indiziaria (primi quattro motivi del ricorso a firma dell’avv. Di Benedetto e primo e quarto motivo del ricorso a firma dell’Avv. Balsamo) risultano inammissibili perché manifestamente infondati, ispirati a una lettura artatamente parcellizzata e atomistica degli elementi a carico e a una critica generalizzata delle intercettazioni.

Deve preliminarmente rilevarsi come del tutto incongrui siano i frequenti richiami fatti dalle difese dei ricorrenti all’ordinanza del Gip di Agrigento posto che tale provvedimento prendeva in considerazione diversa qualificazione giuridica pronunciandosi in tema di sussistenza del c.d. concorso esterno in associazione mafiosa mentre l’ordinanza del Tribunale del riesame ha riqualificato i medesimi fatti in termini di scambio politico mafioso di cui all’art. 416 ter cod pen. Del tutto inconferenti risultano – nell’ottica della qualificazione giuridica data ai fatti – la mancanza di atti amministrativi emanati per effetto dell’intervento dell’indagato e gli ulteriorielementi indicati dalla difesa. Risulta al proposito necessario precisare che del tutto diversi risultano i profili che connotano le diverse fattispecie dello scambio elettorale politico — mafioso e del concorso esterno. 

In sostanza, il ricorrente non considera che – trattandosi di condotta estranea alla partecipazione o al concorso esterno – la fattispecie incriminatrice de qua non postula la necessità di un rafforzamento in concreto dell’associazione mafiosa. Risulta infatti consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, previsto dall’art. 416 ter cod. pen. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 62 del 2014, quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni poiché in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416 bis, comma terzo, cod. pen. può dirsi immanente all’illecita pattuizione.

La presenza di univoci elementi indiziari della caratura mafiosa del soggetto con cui il ricorrente aveva stretto l’accordo risulta indiscussa in relazione alla ricostruzione operata dal Tribunale della libertà in conseguenza dei precedenti penali dell’Occhipinti e dei pregressi accertamenti giurisdizionali, sia in sede di merito, sia in sede di prevenzione nonché in conseguenza degli ulteriori elementi richiamati dai giudici territoriali, costituiti da intercettazioni telefoniche e ambientali e servizi di diretta osservazione da parte della PG inerenti allo svolgimento di attività riconducibili alla capacità intimidatoria della associazione mafiosa di appartenenza; elementi ulteriormente riscontrati dalle frequentazioni di appartenenti alla propria e a ulteriori famiglie di appartenenza e dal concreto ruolo di gestione dei soggetti economici e politici operanti sul territorio, di risoluzione delle controversie fra gli stessi e di intervento rispetto alla consumazione di illeciti nei confronti di costoro. Quanto ai “vincoli parentali” sussistenti tra ricorrente ed esponente mafioso, del tutto generica appare l’articolazione degli elementi a contrasto della motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, il preteso vincolo di parentela si risolve in un remoto rapporto di “affinità di fatto” posto che il ricorrente risulta il cognato del genero della convivente dell’esponente mafioso. La difesa intenderebbe porre, a fondamento di una ritenuta mancata motivazione o comunque a dimostrazione di rapporti di natura familiare, legami di affinità ritenuti esplicitamente irrilevanti dal codice civile congiunti a situazioni di fatto che — incidendo su una affinità di grado remoto tra soggetti affini tra loro — non appare idonea a provare alcunchè. 

Tra l’altro, la difesa nemmeno prova che vi fosse – tra ricorrente (Scozzari) e esponente mafioso (Occhipinti) una confidenza ricollegantesi a tali rapporti e nemmeno evoca pregressi incontri in ambito familiare ristretto o comunque circostanze che possano far deporre per l’esistenza di una effettiva pregressa familiarità che prescindesse dal contesto evocato nella motivazione del provvedimento impugnato. Risulta inoltre dal testo del provvedimento che il Semprevivo – cognato dello Scozzari e genero della convivente dell’Occhipinti – sia intervenuto a procacciare voti su specifiche indicazioni di quest’ultimo rese in ambito del tutto eterogeneo a quello familiare, circostanza che esclude che venissero interessati nella vicenda rapporti familiari. Ne consegue che la dedotta presenza di “vincoli familiari” risulta essere mera prospettazione di fatto disattesa nel contesto della articolata motivazione del provvedimento impugnato.

Quanto alla conoscenza da parte dello Scozzari della appartenenza mafiosa dell’Occhipinti, deve rilevarsi come tale circostanza risulti resa esplicita dagli elementi esposti dal Tribunale del riesame e in particolare dal tenore delle intercettazioni telefoniche con il riferimento – fatto dallo Scozzari all’Occhipinti – della necessità di ottenere i voti dalla famiglia Lauria nonché dal contenuto delle intercettazioni del 9 giugno per come ulteriormente richiamate.

Quanto alla realizzazione e al contenuto della promessa, deve da una parte escludersi che debba ricercarsi nel caso di specie alcuna fattispecie di contratto regolato dal codice civile posto che la promessa rilevante consiste nell’assunzione, da parte dell’agente, di un vincolo di evidente indole morale, attesa l’invalidità giuridica del patto. Nel caso di specie, il contenuto della promessa risulta esplicitatodalla intercettazione del 30 maggio 2018 (Occhipinti: “mi interessa che ti dobbiamo dare i voti”; Scozzari: “Perfetto”) e riscontrato nelle plurime intercettazioni successive, in particolare nel tenore delle intercettazioni del 9 giugno 2018, vigilia delle elezioni, coinvolgenti Occhipinti, Semprevivo (che agiva per conto di questi) e il ricorrente Scozzari. Si tratta infatti di conversazioni che chiariscono con nettezza la portata e il significato delle affermazioni del 30 maggio precedente. Tali ultime intercettazioni – nella logica dei provvedimenti dei giudici territoriali – rendono anche palese la consapevolezza della caratura mafiosa del soggetto con cui il ricorrente si rapportava; consapevolezza del resto coerente con i remoti rapporti di affinità di fatto richiamati dalla difesa. Il Tribunale territoriale ha del resto logicamente desunto dalla incontestata appartenenza all’associazione mafiosa dell’Occhipinti il fatto che l’interessamento fosse imputabile all’intera cosca di riferimento il che risulta coerente con il contenuto di tutte le intercettazioni richiamate dal Tribunale territoriale. La prospettazione secondo cui la richiesta e/o l’offerta di voti fosse avanzata a titolo personale appare logicamente ed esplicitamente esclusa nel contesto del provvedimento impugnato sia dal tenore della stessa intercettazione del 30 maggio (“gli altri te li porto … sono amici … nostri … sono tutti tuoi“) e – ancora dal tenore delle successive intercettazioni e in particolare di quelle del 9 giugno. Le stesse considerazioni escludono la possibilità di far rientrare nell’ordinario svolgimento della campagna elettorale i così esplicitati accordi e il sollecitato impegno dell’esponente mafioso proprio in ragione. Quanto all’utilità promessa e perseguita, questa – nell’esposizione del Tribunale del riesame – risulta correttamente individuata in primo luogo nella possibilità di gestire visite e presenze presso l’ospedale tramite canali diversi da quelli ufficiali, con tutte le utilità che ne derivavano: saltare le code, presentarsi a nome del ricorrente in quanto soggetto “di tutti gli ospedali della Provincia di Agrigento”, potere contare sul ricorrente per vicende interne al Comune in cui era stato eletto. Si tratta di un corrispettivo che si identifica in una serie di utilità che prescindono da una mera messa a disposizione e si ricollegano piuttosto a specifici interventi in relazione a persone e occasioni determinate. In sostanza, Quanto alla possibilità che le contestazioni potessero rientrare nell’allora vigente formulazione dell’art. 416 ter cod. pen., deve rilevarsi che il riferimento ad altra utilità rispetto al danaro evidenzia che, come del resto già affermato in relazione a delitti contro il patrimonio, l’utilità rilevante può essere anche di natura non patrimoniale, eventualmente correlata a un vantaggio per il soggetto attivo del reato o per il terzo nel cui interesse egli abbia agito. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame risulta avere correttamente valutato l’accordo tra esponente politico e esponente mafioso in termini di promessa di utilità anche non patrimoniali da parte dell’uno in cambio dell’appoggio elettorale dell’altro e ha indicato – a riscontro di tale interpretazione – un adeguato numero di occasioni in cui tale offerta risulta essersi concretizzata. Il fatto poi che le medesime utilità fossero state già fornite a ulteriori soggetti o in precedenza non rileva rispetto alla logicità del ragionamento giudiziale posto che anche la conferma di servigi già resi in precedenza o potenzialmente in collegamento con precedenti elezioni può costituire il contenuto di promessa rilevante ai sensi dell’art. 416 ter cod pen.

Quanto al preteso travisamento o alle affermate illogicità inerenti alle intercettazioni, deve rilevarsi come – anche a stare alla ricostruzione della difesa per cui la fissazione dell’appuntamento di cui alle conversazioni contestate sarebbe stato un atto dovuto – non residua dubbio nemmeno in ordine alla presenza di un intervento esterno specificamente finalizzato a bypassare le ordinarie procedure esattamente corrispondente alla logica ricostruzione offerta nel contesto del provvedimento impugnato.

Le sopra esposte considerazioni evidenziano la logicità, legittimità e coerenza del giudizio in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria. Risultano inoltre infondate le doglianze in punto esigenze cautelari e scelta della misura (quinto motivo del ricorso a firma dell’avv. Di Benedetto; secondo, terzo e quarto motivo delricorso a firma dell’avv. Balsamo).

Proprio la indubbia logicità del giudizio in tema di gravità indiziaria determina l’operatività della presunzione, sebbene di carattere relativo, di sussistenza delle esigenze cautelari. Oggetto di tale presunzione risulta essere la sussistenza di esigenze cautelari per come descritte dall’art. 274 cod. proc. pen. Di conseguenza, il carattere di concretezza e attualità delle esigenze medesime rientra nel fuoco della presunzione e avrebbe dovuto essere contrastato dalla difesa sulla base di allegazione di elementi già presenti in atti ovvero di elementi nuovi oggetto di deposito. La sussistenza di una presunzione legale, infatti, costituisce elemento che, in caso di dubbio, esonera la parte dal provare e il giudice dal motivare sulla esistenza del fatto presunto. Coerentemente a tali premesse, la stessa giurisprudenza di legittimità ha da tempo espresso il principio (ritenuto alla stregua di diritto vivente dalle stesse sentenza della Corte Costituzionale) che il meccanismo connesso alla sussistenza della presunzione si ricollega all’onere motivazionale del giudice, che – in presenza di gravi indizi – deve constatare l’inesistenza di elementi – presenti nel fascicolo o introdotti dalla difesa – che “ictu oculi” possano farla ritenere superata. Nel caso di specie, il ricorrente si limita a contestare l’operatività della presunzione sulla base di deduzioni di cui già in precedenza si è rivelata l’infondatezza e non allega o deduce la presenza di alcun elemento idoneo a superare la presunzione stessa. Infatti, il tempo trascorso, nemmeno particolarmente rilevante, non appare assumere rilevanza tale da superare la presunzione richiamata. Quanto alla dedotta sussistenza di legittima attività lavorativa, deve affermarsene la irrilevanza proprio in conseguenza del fatto che rientravano nel progetto criminoso oggetto della pattuizione proprio facoltà e utilità indirette che derivavano al ricorrente dallo svolgimento di tale attività.

Allo stesso modo, deve affermarsi l’irrilevanza delle intervenute dimissioni dalla carica elettiva ai fini delle esigenze cautelari in conseguenza del fatto che il pericolo di reiterazione rilevante ai fini dell’applicazione della misura riguarda altri fatti della medesima indole e non la riproposizione del medesimo fatto storico. Sotto questo aspetto, i conclamati rapporti con soggetti intranei alla criminalità organizzata e la palesata disponibilità a strumentalizzare anche la propria attività lavorativa in tal senso costituiscono esplicitazione univoca di un pericolo di reiterazione non eliso né dalle stesse dimissioni né dalla formale incensuratezza. Quanto ai profili di scelta della misura, risulta logica la valutazione del Tribunale del riesame della necessità di limitare gli spostamenti del ricorrente così come le opportunità di relazione del ricorrente; necessità direttamente ricollegabile all’accertato tentativo dello Scozzari di fornire un contributo alla associazione mafiosa al fine di ottenere utilità personali ricadenti in settori apparentemente leciti del vivere civile. Corretta sul punto è l’affermazione che proprio tale atteggiamento risulta facilitare la penetrazione della compagine mafiosa stessa nel tessuto sociale. Le suesposte considerazioni fondano il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alpagamento delle spese processuali.

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