Raffadali, verso la sentenza del processo sull’omicidio di Pasquale Mangione
L’omicidio di Pasquale Mangione è stato un vero e proprio “cold case” portato alla luce a distanza di nove anni dal fatto grazie (anche) alla collaborazione di uno degli organizzatori dell’agguato
Battute finali del processo a carico di di Roberto Lampasona, 47 anni, di Santa Elisabetta, finito sotto accusa per l’omicidio dell’ex impiegato comunale di Raffadali Pasquale Mangione, ucciso il 2 dicembre 2011 nelle campagne di contrada Modaccamo. Lampasona, vecchia conoscenza del panorama criminale agrigentino, è accusato di essere uno degli autori materiali del delitto. Dopo la requisitoria del pm Sara Varazi, che nella scorsa udienza ha chiesto la condanna all’ergastolo dell’imputato, questa mattina la parola è passata alla parte civile e alla difesa.
L’avvocato Samantha Borsellino, che rappresenta i familiari della vittima costituitisi parte civile, si è associato alle richieste del pubblico ministero. La difesa, sostenuta dall’avvocato Salvatore Manganello, ha invece chiesto l’assoluzione di Lampasona ritenendo che le prove raccolte non possano confermare la responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. A sostegno di questa ipotesi, la difesa ha chiesto alla Corte di acquisire la sentenza del processo “Montagna” al fine di evidenziare che all’epoca dei fatti Lampasona non potesse avere contatti con il boss Francesco Fragapane al quale, secondo quanto dichiarato dal collaborante Antonino Mangione, gli imputati si sarebbero rivolti per avere l’autorizzazione a compiere il delitto.
L’omicidio di Pasquale Mangione è stato un vero e proprio “cold case” portato alla luce a distanza di nove anni dal fatto grazie (anche) alla collaborazione di uno degli organizzatori dell’agguato. Sono state infatti le dichiarazioni di Antonino Mangione, che avrebbe partecipato alla fase organizzativa, a dare una svolta alle indagini della Squadra mobile di Agrigento guidata dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi e chiudere il cerchio. Ad uccidere l’ex impiegato comunale sarebbero stati Angelo D’Antona, condannato a 30 anni di reclusione in primo grado, e proprio Roberto Lampasona. Mangione, condannato a 16 anni di reclusione in primo grado con i benefici della collaborazione, curò invece la fase preliminare indicando quale mandante il figlio della vittima. Quest’ultimo, iscritto nel registro degli indagati in un primo momento, è stato successivamente scagionato dalle accuse e oggi è parte civile nel processo. Il movente non è mai stato del tutto chiarito anche se, come emerso dalle indagini, sarebbe da ricondurre in particolari “attenzioni” rivolte dalla vittima ad altre donne al di fuori del matrimonio. Si torna in aula il 31 gennaio per la sentenza.