Agrigento

Agrigento, ex pm a giudizio per abuso d’ufficio

L’intera vicenda scaturisce dalle denunce dell’imprenditore Gaetano Caristia

Pubblicato 2 anni fa

Il Gip del tribunale di Caltanissetta, rigettando la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, ha disposto l’imputazione coatta a carico del sostituto procuratore Antonella Pandolfi, all’epoca dei fatti ad Agrigento e oggi in servizio a Roma, per l’ipotesi di reato di abuso d’ufficio. 

Per il giudice bisognerebbe approfondire eventuali indizi di colpevolezza a carico del magistrato in “relazione al reato di abuso di ufficio per aver in maniera costante  significativa violato la regola cogente di condotta della parità di trattamento nella conduzione delle indagini riguardanti fattispecie in fatto  e diritto pressoché identiche”. 

In sostanza il gip del tribunale di Caltanissetta ipotizza una disparità di trattamento nelle indagini avvenute a carico di Gaetano Caristia (difeso dall’avv. Gigi Restivo) e di Giuseppe Catanzaro, ex vicepresidente di Confindustria. In quest’ultimo caso si verificò un sequestro dell’intero complesso immobiliare solo dopo oltre 7 anni dalla prima iscrizione nel registro degli indagati mentre nel caso di Carestia si giungeva a tale epilogo in undici mesi. 

Il Gip evidenzia nel suo provvedimento alcune anomalie, a cominciare dal fatto che l’indagine subì un impulso su iniziativa del procuratore Luigi Patronaggio che, tra l’altro pretese dal Pm Pandolfi,una dettagliata relazione sulla vicenda.

Infine, sempre il Gip, “Gli stretti ed inopportuni rapporti tra i Catanzaro ed il procuratore capo (di allora) della Procura della Repubblica di Agrigento Di Natale, coordinatore delle indagini riguardanti sia Caristia che i Catanzaro). Sono stati documentati, infatti, i numerosi incarichi ottenuti dalla figlia di Di Natale dalla Camera di commercio di Caltanissetta guidata – nella qualità di vice – da Catanzaro”.

L’intera vicenda scaturisce dalle denunce dell’imprenditore Gaetano Carestia, imprenditore accusato di lottizzazione abusiva alla Scala dei Turchi: per questa ipotesi fu condannato in primo grado a otto mesi di reclusione e in appello a quattro mesi. L’imprenditore – di fatto – ha denunciato una disparità di trattamento per vicende giudiziarie analoghe. 

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