Giudiziaria

Femminicidio Lorena Quaranta, accusa chiede attenuanti generiche per l’imputato 

La procura generale invoca la concessione delle attenuanti per Antonio De Pace, reo confesso del femminicidio di Lorena

Pubblicato 11 mesi fa

Il riconoscimento delle attenuanti generiche per l’imputato e, di conseguenza, valutare una riduzione della condanna. Lo ha chiesto il sostituto procuratore generale Maurizio Salamone nel processo di secondo grado per il femminicidio di Lorena Quaranta, aspirante medico di Favara, uccisa dal fidanzato nel marzo 2020 all’interno di un appartamento che condividevano a Furci Siculo.

L’accusa, dunque, chiede che la Corte di Assise di Appello valuti alcune circostanze che possano giustificare una diminuzione della pena senza però pronunciarsi sulla quantificazione. Tra queste, ad esempio, la confessione. Sul banco degli imputati siede l’infermiere calabrese Antonio De Pace, appunto, reo confesso. In primo grado il tribunale di Messina lo ha condannato alla pena dell’ergastolo. Carcere a vita che viene invocato, anche in Appello, dai familiari di Lorena Quaranta rappresentati dall’avvocato Giuseppe Barba. Stessa richiesta è stata avanzata dagli avvocati Cettina Miasi – per il centro antiviolenza “Una di Noi” – Maria Gianquinto per il Cedav e Cettina La Torre per “Al tuo fianco”. Il prossimo 13 giugno discuteranno anche le altre associazioni che si sono costituite parte civile: i centri antiviolenza Telefono Rosa Bronte, work in progress, Pink Project Evaluna Onlus. Poi sarà la volta delle arringhe della difesa con gli avvocati Salvatore Silvestro e Bruno Ganino.

Il femmicidio di Lorena Quaranta si consuma nella notte del 31 marzo 2020 all’interno di un appartamento di Furci Siculo, nel messinese, che i due giovani condividevano. E’ stato lo stesso De Pace, dopo aver strangolato Lorena, a chiamare i carabinieri al telefono: “Venite, ho ucciso la mia fidanzata”. Il movente non è mai stato del tutto chiaro. L’infermiere calabrese ha infatti sostenuto, almeno nelle prime fasi delle indagini, di avere ucciso la giovane fidanzata perché convinto di aver contratto il Covid-19 a causa sua. Una circostanza poco credibile e smentita immediatamente grazie ai successivi esami effettuati. La Procura di Messina, inoltre, ha contestato l’aggravante della premeditazione a De Pace sostenendo l’ipotesi che il delitto fosse stato ideato e pianificato in base al fatto di aver inviato alcuni messaggi ai parenti più stretti manifestando la volontà di trasferire i propri risparmi ai nipoti. Questa circostanza, però, è stata esclusa dai giudici di primo grado. 

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