Il paracco di Palma di Montechiaro: in due chiedono l’abbreviato
Il processo riguarda lo stralcio ordinario sul cosiddetto “paracco” di Palma di Montechiaro
Due imputati del processo scaturito dall’operazione “Oro Bianco” – che ha fatto luce sul “paracco” di Palma di Montechiaro guidato dalla famiglia Pace – hanno reiterato la richiesta di accedere al giudizio abbreviato condizionato.
Si tratta di Vincenzo Fallea e Giuseppe Farini, difesi dall’avvocato Ninni Giardina.
I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, hanno rinviato l’udienza al 20 giugno per esaminare l’istanza.
Il processo riguarda lo stralcio ordinario sul cosiddetto “paracco” di Palma di Montechiaro. Sul banco degli imputati siedono: Sarino Lo Vasco, 53 anni di Palma di Montechiaro; Vincenzo Curto, 40 anni di Canicattì; Vincenzo Fallea, 42 anni di Favara; Giuseppe Farini, 53 anni di Canicattì; Calogero “U russu” Monterosso, 37 anni di Palma di Montechiaro,Tommaso Vitanza, di Palma di Montechiaro, Roberto Alletto, 36 anni di Palma di Montechiaro; Vincenzo Bernardo, 43 anni di Favara; Maurizio Licata, 55 anni di Licata; Rosario Meli, 36 anni di Canicattì; Pietro Scaccia, 52 anni di Canicattì.
L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Claudio Camilleri, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo, muove i primi passi nel palermitano ma ben presto si sviluppano i collegamenti con la provincia di Agrigento.
Collegamenti che sono stati tracciati anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. Dalla figura di Salvatore Troia, uomo d’onore di Villabate, si è giunti a Favara dove era in contatto con Giuseppe Blando, arrestato (e assolto in primo grado) nell’operazione Montagna.
Blando è il fratello del più noto Domenico, favoreggiatore della latitanza di Giovanni Brusca a Cannatello. Quest’ultimo tornato in libertà dopo 25 anni di detenzione per fine pena.
L’accusa per gli indagati è di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omerta’ che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali.
Tra i tentativi di estorsione svelati dall’indagine ci sarebbe quello ai danni del gruppo di imprese che si è aggiudicato un appalto da due milioni e tre cento mila euro nell’ambito del “Contratto di quartiere”.