“Tangenti all’Irfis”, chiesto rinvio a giudizio di funzionario e imprenditori agrigentini
A rischiare il processo sono un funzionario dell’Irfis, un consulente del lavoro di Favara e quattro imprenditori agrigentini
Tangenti mascherate da presunte consulenze professionali al fine di ottenere finanziamenti pubblici per le proprie aziende. È questa la tesi avanzata dalla procura di Palermo in un’inchiesta che ipotizza un giro di corruzione all’Irfis, la società che si occupa di finanziare le piccole e medio imprese il cui azionista unico è la Regione Siciliana. Il procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e il sostituto procuratore Claudia Ferrari, dopo aver concluso le indagini, hanno chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di un funzionario dell’Irfis, un consulente del lavoro di Favara e quattro imprenditori agrigentini. Si tratta di Paolo Minafò, 57 anni, funzionario dell’Irfis; Antonio Vetro, 54 anni, consulente del lavoro di Favara; Giovanni Chianetta, 50 anni, amministratore dell’omonima società; Francesco Iacolino, 62 anni, amministratore della Soitek Srl; Angelo Incorvaia, 61 anni e Valerio Peritore, 56 anni, amministratori della Omnia Srl. La prima udienza preliminare è in programma il prossimo 23 novembre davanti il gup del tribunale di Palermo, Angela Lo Piparo. Nel collegio difensivo gli avvocati Salvatore Cusumano, Gioacchino Genchi, Antonino Gaziano, Francesco Gibilaro e Rocco Gullo.
L’inchiesta rappresenta la “costola palermitana” della nota operazione Giano Bifronte, eseguita nel 2017 dalla Guardia di Finanza di Agrigento. Il reato contestato è corruzione aggravata in concorso e i fatti risalgono al biennio 2014-15. I personaggi chiave dell’inchiesta sono il funzionario dell’Irfis Paolo Minafò e il consulente del lavoro Antonio Vetro. Secondo la procura di Palermo sarebbero gli ideatori di un sistema di corruzione che permetteva di incassare tangenti per “sistemare” le pratiche mediante l’uso di una società di consulenze – la Intersystem srl – di cui Vetro era l’amministratore di fatto e Minafò il socio occulto. Gli imprenditori agrigentini, al fine di ottenere i finanziamenti, avrebbero dunque pagato somme di denaro – circa 78 mila euro complessivi – che venivano corrisposte alla società di consulenza. Per la procura di Palermo, quelle elargizioni, non erano consulenze ma tangenti. Ancora in corso, a distanza di quattro anni dall’apertura del dibattimento, il processo che riguarda il “filone agrigentino” e che vede 17 imputati. Il procedimento, che si sta celebrando davanti i giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, è stato notevolmente ridimensionato con l’intervento della prescrizione.