Mafia

Chiuse indagini sul clan Calatafimi: 13 indagati

Tra gli indagati anche un imprenditore agricolo originario dell'agrigentino

Pubblicato 3 anni fa

La Dda di Palermo ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio di 13 persone coinvolte nell’inchiesta su intrecci tra mafia, politica e massoneria che, a dicembre scorso, porto’ a 13 fermi. Intercettati dalla polizia che indagava sulla cosca mafiosa di Calatafimi (Tp), da sempre legata a filo doppio al superlatitante Matteo Messina Denaro, gli inquirenti accertarono anche un episodio di corruzione elettorale a carico dell’ex sindaco di Calatafimi Antonino Accardo. Avrebbe pagato 30 euro a voto per essere eletto.

Tra gli indagati anche Salvatore Barone, ex direttore della ATM, la municipalizzata che gestisce il trasporto pubblico a Trapani: avrebbe avuto rapporti coi vertici della cosca di Calatafimi e col boss della zona, Nicolo’ Pidone. Barone venne accusato di associazione mafiosa. I magistrati lo descrissero come un personaggio a disposizione della mafia a cui avrebbe fatto diversi favori. Come l’assunzione di Veronica Musso, figlia del mafioso Calogero Musso, nella societa’ vinicola Kaggera, di cui era diventato presidente.

Il tutto dietro la supervisione di Pidone che teneva summit di mafia nella sua masseria e gestiva i rapporti con le altre cosche della zona. Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato di Marsala, vicino a uno dei “postini” di Matteo Messina Denaro, Sergio Giglio, coinvolto nell’inchiesta sui favoreggiatori del capomafia latitante. Nelle indagini sono finiti anche insospettabili accusati di aver favorito le comunicazioni tra il capo della famiglia calatafimese, specie nel periodo in cui era sottoposto alla sorveglianza speciale, ed altri mafiosi, tra cui lo stesso Rosario Leo, per un periodo sottoposto a misura di prevenzione. Sotto inchiesta anche l’imprenditore Leonardo Urso, di origini marsalesi, enologo, accusato di favoreggiamento.

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