Mafia

Inchiesta Condor, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Quaranta 

Le dichiarazioni del pentito Quaranta nell'inchiesta Condor

Pubblicato 1 anno fa

Un importante contributo all’inchiesta Condor, che ha svelato la riorganizzazione di cosa nostra e stidda nella parte orientale della provincia di Agrigento, è stato indubbiamente fornito dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. L’ex netturbino di Favara, ultimo pentito della mafia agrigentina, ha deciso di collaborare con l’autorità giudiziaria all’indomani del suo arresto nella maxi operazione Montagna, inchiesta che ha fatto luce sulla creazione dell’omonimo mandamento guidato dal boss di Santa Elisabetta Francesco Fragapane. 

Quaranta, in quel periodo, ha rivestito il ruolo di vertice della famiglia mafiosa di Favara e, prima di essere “posato”, è stato anche il referente della stessa famiglia Fragapane nell’intera provincia. Una collaborazione, quella di Quaranta, giudicata genuina e attendibile. Uno dei contributi forniti dal collaboratore di giustizia si inserisce proprio nell’inchiesta Condor e, in particolare, sulla figura di Nicola Ribisi e sui rapporti di quest’ultimo con gli esponenti delle altre famiglie mafiose. Quaranta riferisce della piena operatività di Ribisi, considerato il capo della famiglia di Palma di Montechiaro, subito dopo la sua scarcerazione. In un interrogatorio del 2019 ha riferito  che Ribisi, forte della sua autorevolezza in cosa nostra, ottenne dal capo del mandamento Lillo Di Caro l’autorizzazione del trasferimento di Tonino Chiazza a Canicattì il quale, pur essendo uno stiddaro, era a disposizione dello stesso Ribisi. 

Secondo quanto dichiarato da Quaranta, Ribisi presentò Chiazza come “fratello” chiedendo all’anziano boss Di Caro che venisse “rispettato” dagli altri associati a cosa nostra: “Tonino Chiazza mi racconta personalmente che ci siamo incontrati in un bar a Favara che lui è a disposizione con la vita di Nicola Ribisi, in qualsiasi momento lo chiama lui corre, Nicola Ribisi ha mandato a dire agli uomini di cosa nostra, ma non mi ha detto il nome di chi erano, ma lo posso immaginare. Il messaggio lo ha fatto arrivare a u zu Lillo Di Caro perché era un boss storico di Canicattì, come i Gioia.”

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