Mafia

Licata, da vittima a mandante dell’estorsione: “Mi hai mandato addosso quello che hanno arrestato”

Lo spunto investigativo per fare luce sull’episodio è una intercettazione del 22 gennaio 2020

Pubblicato 1 anno fa

Da vittima delle pressioni esercitate dai vertici della mafia di Licata e Campobello di Licata, con richieste di denaro per sostenere gli affiliati con guai giudiziari, a mandante di una vera e propria estorsione ai danni di un imprenditore del posto da quale vantava un credito. Sarebbe questa la parabola di Vincenzo Corvitto, 50 anni, operante nel settore delle scommesse, finito in carcere ieri mattina nell’ambito dell’operazione Breaking Bet. Tra le contestazioni mosse nei suoi confronti vi è anche una estorsione in concorso con esponenti di spessore delle famiglie mafiose: Angelo Occhipinti, ritenuto il boss di Licata; Giuseppe Puleri, ritenuto membro della cosca di Campobello di Licata; Vincenzo Spiteri, ritenuto affiliato alla famiglia di Licata.

A ricomporre i pezzi di un intricato puzzle, alla luce delle nuove investigazioni, sono stati gli agenti della Dia di Agrigento guidati dal colonnello Antonino Caldarella. Ma bisogna riavvolgere il nastro e fare un passo indietro fino all’inchiesta Assedio, l’operazione dei carabinieri del Ros che nel luglio 2019 ha disarticolato la famiglia mafiosa di Licata. Dalle intercettazioni disposte in quel procedimento venne fuori un dialogo nel magazzino di via Palma, il bunker utilizzato dal boss Occhipinti per le riunioni con i sodali. In quell’occasione emerse una non ben definita estorsione ai danni di un imprenditore che, soltanto in un secondo momento, fu parzialmente identificato proprio in Vincenzo Corvitto, destinatario delle richieste di denaro dei clan al fine di pagare gli avvocati per gli affiliati. A distanza di anni, alla luce di nuove intercettazioni e un nuovo impulso investigativo, la Dda di Palermo “riscrive” i contorni di quella storia. L’imprenditore Corvitto è oggi accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver dato un contributo, attraverso le sue società, all’organizzazione criminale. E viene accusato anche di essere il mandante di una estorsione ai danni di un altro imprenditore.

Lo spunto investigativo per fare luce sull’episodio è una intercettazione del 22 gennaio 2020. Corvitto viene convocato negli uffici della Dia di Agrigento per la notifica del rigetto di un sequestro patrimoniale nei suoi confronti. Ma lui non lo sa ancora e, quando viene chiamato, cerca di capirne il motivo parlando con il suo braccio destro: “Mettiamo il caso che abbiano fatto il mio nome.. c’era bisogno che mi invitavano a venire?”. L’amico risponde: “.certo…, perché tu devi essere uno dei testimoni che lo deve denunciare…. era uno di quelli che fecero l’estorsione….. senza le testimonianze dei cristiani….tutto il castello gli cade….”. I timori dell’imprenditore però si palesano: “Si…il problema è anche… che se gli danno le intercettazioni.. sanno il mio nome… allora, sanno tutta la storia..e allora sono fottuto!”. Il giorno seguente viene intercettata un’altra conversazione in auto tra i due proprio durante il tragitto verso gli uffici della Dia di Agrigento: “Secondo me è la citazione che li devono chiamare a testimoniare per qualche cosa” ipotizza l’amico. Ma Corvitto non è convinto: “La Guardia di Finanza non c’entra niente con i carabinieri.. con Piscimoddru..hai capito? Un’altra cosa..”. L’ipotesi degli inquirenti, oggi contestata a Corvitto, è che l’imprenditore – in virtù dei rapporti con i vertici della famiglia mafiosa di Licata – sia riuscito a dirottare le richieste estorsive del clan nei confronti di un altro imprenditore dal quale vantava un credito, nato per la cessione di un bar.

E la prova madre, sempre secondo la Dda di Palermo, arriverebbe da una conversazione intercettata grazie ad una cimice installata sulla macchina di Corvitto. È il 24 gennaio 2020 e Corvitto parla direttamente con l’imprenditore bersaglio dell’estorsione: “Ma tu quando cazzo me li dai questi 110 mila euro?”. “Quanto cazzo ti ho dato? 110 mila euro di affitto te li ho pagati io..”Ah.. l’affitto rientra nei cosi.. di pagamento?” “A vabbè… basta così.. te ne farò pentire..” La risposta dell’imprenditore: “A me mi hai mandato in mezzo ad una strada…si.. mi hai mandato un cane addosso.. tu mi hai mandato quello..” Corvitto è chiaro: “Gli dovevo dare i soldi io… io li avanzavo da te.. e glieli faccio dare da te!”. “Mi hai mandato a quello che hanno arrestato..”. Per gli inquirenti non ci sono dubbi e ricostruiscono così la vicenda: Corvitto doveva dare i soldi al boss Angelo Occhipinti, capo della famiglia di Licata, e Giuseppe Puleri, della famiglia mafiosa di Campobello di Licata e, non potendo versare il contributo, avrebbe indirizzato gli esponenti della cosca direttamente dall’imprenditore da cui vantava un precedente credito. L’imprenditore è stato così costretto a subire ogni mese una corposa decurtazione economica. Ad andare a riscuotere materialmente il pizzo, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato Vincenzo Spiteri. 

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