Agrigento

Mafia, il patrimonio degli imprenditori Russello: tra confische e restituzioni agli eredi

Confermata la confisca di alcune società, tra cui quella che ha costruito il Grand Hotel Mosè

Pubblicato 3 anni fa

La quinta sezione penale – Misure di Prevenzione – della Corte d’Appello di Palermo, presieduta dal giudice Giacomo Montalbano, ha disposto la revoca della confisca delle quote di 6 società (tra cui il bar e l’edicola della stazione), 25 beni immobili tra terreni, fabbricati, una villa e parte di rapporti e conti bancari, tutti intestati agli eredi o discendenti di Carmelo Russello, imprenditore agrigentino che insieme al fratello Calogero (deceduto nel 2009) ha dato vita ad un impero edile. A Carmelo Russello, inoltre, è stata revocata anche la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.  Disposta, inoltre, la trasmissione alla Procura della Repubblica delle relazioni redatte in primo e secondo grado dal consulente, l’ingegnere Alessio Melis, per ulteriori supplementi di indagine relativi ad alcuni beni. 

Le confische. Confermata la confisca della IAS srl, azienda creata negli anni novanta con cui è stato costruito il Grand Hotel Mosè. Secondo i giudici è lo “strumento principale con cui i fratelli Russello hanno esercitato l’impresa mafiosa” e in tal senso “sono inequivocabili le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia nel significato che ha riguardato la partecipazione del capo provincia di Cosa Nostra, Calogero Cesare Lombardozzi”. Stesso discorso viene fatto per la Edilfin srl, costituita nel 1989. Confisca confermata anche per la Edil Costruzioni Rucagea (che fu Co.Ma.Ter) che – scrivono i giudici – “ha origini ben radicate nella storia criminale dei Russello nei primi anni 2000”. Confisca anche per il compendio aziendale Ema Costruzioni che, nel 2009 acquistò il ramo d’azienda della Rucagea. Provvedimenti confermati anche per due ditte individuali, alcuni terreni a Villaseta e Villaggio Mosè e un immobile ad Agrigento.

I motivi della decisione. La Corte d’Appello ha di fatto rimodulato quanto deciso in primo grado dal Tribunale di Agrigento che aveva disposto la confisca di tutti i beni immobiliari e societari attuando un’ablazione generalizzata, cioè ritenendo ininfluente anche quei beni lecitamente acquisiti nel tempo poiché “utilizzati come strumento di sviluppo dell’organizzazione mafiosa”. In appello, invece, è stata accolta la parte appellante delle difese che ne chiedevano – anche in forza di un orientamento giurisprudenziale di legittimità ormai collaudato sulla scorta dei vari pronunciamenti delle Sezioni Unite della Cassazione – una riforma delle disposizioni di confisca. Di fatto, si possono confiscare solo i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale e cioè di quei beni ricadenti nel periodo temporale che per i Russello viene individuato dal 1987 al 2009. 

Il primo grado e l’appello. La complicata e tortuosa vicenda giudiziaria scaturisce dal decreto di confisca di primo grado avvenuto nel 2015 a carico dei due imprenditori. In quell’occasione il Tribunale aveva messo in risalto che Calogero Russelloera un imprenditore stabilmente legato a gruppi mafiosi con cui ave instaurato un rapporto di collaborazione reciprocamente vantaggiosa”. Russello fu condannato in primo grado a sei anni di reclusione per partecipazione mafiosa e corruzione aggravata ma la sentenza fu ribaltata in Appello (condannato solo per corruzione poi cancellato con l’indulto e assolto per mafia) salvo poi giungere un nuovo verdetto della Cassazione che annullava con rinvio anche questa sentenza. L’imprenditore però è deceduto nel 2009. Carmelo Russello, fratello di Calogero, non aveva mai riportato condanne penali e pur non apparendo in quella indagini – rilevava il Tribunale – “non poteva non essere a conoscenza dei contatti del fratello con esponenti di rilievo della criminalità organizzata agrigentina”.  Il collegio difensivo, che rappresenta gli interessi del Russello e dei discendenti, ha proposto appello a partire dal marzo 2016. Diversi i motivi sollevati: dalla mancanza dell’attualità della pericolosità sociale dell’imprenditore a tecnicismi giuridici quali l’incostituzionalità o inefficacia nella trattazione di alcuni profili per lesione del diritto di difesa. 

Il collegio difensivo. Ne fanno parte gli avvocati Antonio Mormino, Alberto Seggio, Silvio Miceli, Giovanni Castronovo, Daniela Posante, Carmelita Danile, Paolo Grillo, Gerlando Vella, Salvatore Buggea, Giuseppe Scozzari.

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