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Mafia, l’ultima lettera al giudice del boss Di Gangi prima della terza condanna per mafia

Una lettera-memoria che avrebbe dovuto “salvarlo” ed evitare l’ennesima condanna per mafia. L’ultima lettera del boss di Cosa nostra, Salvatore Di Gangi ,78 anni, ritenuto capo della famiglia di Sciacca, inviata al Gup del Tribunale di Palermo prima della sentenza del processo “Montagna” (rito abbreviato). Una lettera accorata, non senza punte polemiche, ricca di spunti […]

Pubblicato 5 anni fa

Una lettera-memoria che avrebbe dovuto “salvarlo” ed evitare l’ennesima condanna per mafia.

L’ultima lettera del boss di Cosa nostra, Salvatore Di Gangi ,78 anni, ritenuto capo della famiglia di Sciacca, inviata al Gup del Tribunale di Palermo prima della sentenza del processo “Montagna” (rito abbreviato). Una lettera accorata, non senza punte polemiche, ricca di spunti personali vergata a mano e consegnata in udienza. Non è servita a nulla, anzi, proprio la lettera che Di Gangi riteneva decisiva per la sua assoluzione si è rivelata la “prova provata” della sua colpevolezza. Ed il giudice, in ragione anche della lettera depositata lo ha condannato a 17 anni di carcere.

La lettera-memoria inviata da Salvatore Di Gangi al Gup Marco Gaeta:

“Signor presidente del Tribunale di Palermo,Io sottoscritto Di Gangi Salvatore, nato a Polizzi Generosa l’1 maggio 1942, in riferimento all’ordinanza della misura cautelare di cui agli art. 272 e 921 cpp, faccio presente quanto segue: premetto che tutto quello che è stato scritto nelle carte processuali e nella memoria dei Pm sul mio conto è privo di ogni fondamento e di nuove prove certe ed ha il solo obiettivo di addossarmi reati e responsabilità che non mi appartengono. La premessa con la quale l’ufficio della Procura elenca determinate accuse nei miei confronti fa sorgere il dubbio che è stata colpita da altri processi riguardanti altre persone e questo spiega l’infondatezza delle argomentazioni sostenute dall’accusa. Si è voluto dare tanto clamore a questa operazione Montagna e sul mio conto trovo solamente accuse risalenti agli anni 80 e 90 già valutate nel processo “Avana” che si è concluso con la condanna di anni dieci che hi già scontato sino a fine pena 20.12.2010. La Procura, in totale assenza di nuove prove certe, ha cercato di avvalersi delle dichiarazioni di pentiti e di falsi collaboratori di giustizia che hanno già testimoniato nel processo “Avana” e precisamente: Spatola, il 15.5.92; Santo Di Matteo il 21.4.94 ed il 7.5.90; Brusca il 18.3.97 e tutti e tre hanno riferito fatti antecedenti al 1992. Il pentito Bucceri, nei verbali del 2016, riferisce di aver sentito parlare del Di Gangi ma non conosce il ruolo, poi dice che Di Gangi era il referente di Sciacca e di avermi incontrato una sola volta e infine non mi ha riconosciuto nella foto n. 94 e quando gli viene suggerito il nome ha ricordato che era Totò Di Gangi.  Mi fa dovere affermare che non ho mai fatto traffico di sostanze stupefacenti e Vi assicuro che sono sempre stato contrario e lo sanno benissimo le forze dell’ordine di Sciacca. Non ho mai fatto richieste estorsive ad esercizi commerciali né ad imprese edili di Sciacca né di altri paesi che hanno preso lavori in apposito territorio di Sciacca. Attualmente mi ritrovo detenuto a scontare una condanna definitiva di quattro anni per una estorsione della quale sono del tutto estraneo e la conferma è stata data dallo stesso imprenditore che subiva l’estorsione il quale, quando è stato interrogato dai procuratori, ha affermato che non ha mai avuto rapporti di alcun genere con il Di Gangi. Devo evidenziare che le intercettazioni riguardanti la mia posizione non contengono discorsi illeciti dai quali si rilevano mie responsabilità. A questo punto devo chiarire che l’incontro con Maranto è stata una sorpresa e lui mi ha spiegato che si trovava in zona ed aveva il piacere di incontrarmi considerando che non ci vedevamo da molti anni ed io lo conoscevo da ragazzo essendo stati vicini di casa con la sua famiglia quando abitavo a Polizzi. Si è parlato solamente di cose del nostro paese ricordando i tempi passati e non si è parlato di altro. Dopo una ventina di minuti circa ci siamo salutati ed è andato via e devo precisare che non ci siamo più incontrati neanche le tre volte che sono andati a Polizzi per la ricorrenza dei defunti.  Conosco Maniscalco Domenico da oltre cinquant’anni quando da ragazzino lavorava nel bar del padre e serviva i clienti ai tavoli. Ci siamo incontrati a Sciacca quando sono uscito dal carcere per fine pena nel dicembre 2010 e, in quella occasione, mi ha comunicato che aveva un negozio di materiale edile e si mise a disposizione se avevo bisogno di qualsiasi cosa a riguardo. L’occasione non è tardata a presentarsi ed infatti quando sono andato ad abitare nell’appartamento a piano terra della via Dialo ho trovato molti problemi di muratura e umidità e gli stessi problemi erano anche nell’appartamento al primo piano di proprietà della signorina Friscia Antonina e, di comune accordo, abbiamo deciso di provvedere al più presto di eliminare i danni. Abbiamo chiamato una impresa di fiducia a Maniscalco per la fornitura del materiale che serviva. Trascorsi pochi giorni sono iniziati i lavori e questo giustifica il continuo andare nel negozio da parte mia quando era possibile farmi accompagnare. Devo fare presente che sia i lavori che il materiale sono stati pagati regolarmente dal sottoscritto e dalla signorina Friscia con assegni di conto corrente alla consegna delle rispettive fatture. Devo altresì evidenziare che quando sono stato scarcerato per fine pena mi è stata notificata la sorveglianza speciale di cinque anni prima ed a seguire mi è stata notificata la libertà vigilata di tre anni che ho già espiato senza avere mai disatteso le prescrizioni del Tribunale di Sorveglianza di Agrigento. Posso assicurarVi che per otto anni di seguito, sia di notte che di giorno, sono stato controllato dalle forze dell’ordine di Sciacca. Devo aggiungere infine che nelle carte processuali e nella memoria depositata dai Pm non ho rilevato alcun reato commesso dal sottoscritto e non riesco a capire le motivazioni del mio coinvolgimento in questa operazione Montagna. A questo punto devo dire che non ritengo né giusto né giustificabile questo continuo accanimento giudiziario. Concludo confidando nella Vostra onestà intellettuale e nella Vostra giusta decisione. Con osservanza. Salvatore Di Gangi”

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