Licata

Nuova inchiesta antimafia a Licata: perquisizioni per dieci indagati; torna alla ribalta Angelo Stracuzzi

Si indaga per associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori

Pubblicato 6 mesi fa

Un’indagine condotta sotto traccia dalla Guardia di finanza, su delega della Direzione distrettuale antimafia (pubblici ministeri Francesca Dessì e Claudio Camilleri) che è stata giocoforza svelata per compiere una decina di perquisizioni e sequestrare materiale contabile, titoli bancari, assegni circolari e documenti utili per le indagini. E così, nei giorni scorsi, alle 5 del mattino le Fiamme gialle si sono presentati a casa (e non solo) di Angelo Salvatore Stracuzzi, di Licata, 58 anni, vecchia conoscenza degli investigatori e pubblici ministeri) indagato per associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori, reati secondo l’accusa commessi ad Agrigento, Licata, Palma di Montechiaro;  Giuseppe Pullara, Favara 73 anni che viene indagato per associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori commessi ad Agrigento e Licata dal 16 al 19 marzo 2021; Rita Giovanna Nogara, 50 anni di Licata alla quale non viene contestato il 416 bis, ossia associazione mafiosa.

Rispondono tutti di trasferimento fraudolento di valori in continuazione; Morena Ruvio, nata a Hanau (Germania) 33 anni fa ma residente a Licata; Giacinto Cuttaia, 60 anni di Licata:  Alberto Cammarata, 38 anni di Licata; Angelo Crapanzano, 36 anni di Licata;  Selenia La Greca, 37 anni di Licata; Giuseppe Francesco Buscemi,  57 anni di  Licata;  Francesco Nogara, 79 anni di Licata.  Scrivono i pubblici ministeri nel loro provvedimento di perquisizione che “è necessario procedere alla perquisizione di tutti i luoghi – di personale abitazione nonché di lavoro – nella disponibilità degli indagati, al fine di ricercare il corpo del reato e le cose pertinenti al reato (e, in particolare: documentazione a qualsiasi titolo riconducibile a rapporti  con  gli  indagati;  denaro  di  incerta provenienza; armi o munizioni detenute; computer, dispositivi cellulari o apparecchiature informatiche e/o digitali in grado di conservare dati ed informazioni d’interesse investigativo qualora la Polizia giudiziaria, al momento dell’esecuzione, abbia fondato motivo di ritenere che, all’interno degli stessi dispositivi, siano registrati e memorizzati dati, atti e documenti di interesse; oggetti e beni di qualsivoglia natura utilizzabili per il prosieguo delle  indagini  preliminari  e comunque utile a ricostruire i rapporti fra gli indagati e le vicende per le quali si procede); ritenuto che sussistano particolari ragioni di urgenza connesse al pericolo che gli indagati modifichino irreversibilmente od occultino o disperdano il corpo del reato o che, in relazione allo stesso, commettano ulteriori reati.

Ed ecco che alla ribalta è ritornato Angelo Stracuzzi, un passato a delinquere, secondo i giudici, di rilievo, sfuggito ad un attentato, che questa volta lo pone al centro di una operazione che mette in evidenza gravissimi reati quali associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti e coinvolge alcuni componenti del suo nucleo familiare (moglie, suocero) e numerose persone ritenute dei prestanome dell’imprenditore che ha già subito un rilevante sequestro beni nel 2016. Le perquisizioni nei locali di pertinenza di Stracuzzi hanno dato esiti positivi e sono sequestrati, tra l’altro assegni circolari e bancari per rilevantissimi importi. Secondo l’ipotesi investigativa della Dda, l’uomo avrebbe turbato, ad esempio, un’asta giudiziaria minacciando un concorrente per non farlo partecipare e dunque anche di estorsione. Forsennato il giro di passaggi di soldi, quote societarie ed altro finito sotto l’intestazione delle persone ritenute fiancheggiatori e prestanome.

La collaborazione con la giustizia

Personaggio principale dell’inchiesta dunque, Angelo Stracuzzi, imprenditore egemone, insieme al padre, per un certo periodo, nel settore del movimento terra e calcestruzzi, finito in disgrazia e per questo teme ancora oggi per la sua vita. Le sue dichiarazioni provocarono un vero e proprio terremoto giudiziario. I magistrati della Dda di Palermo che lo hanno interrogato lo hanno preso con “le pinze” ed hanno dato corso, contestando nei provvedimenti di cattura, tutto ciò che è stato riscontrato. Stracuzzi, come è noto ha vuotato il sacco perché temeva di essere ucciso. E segnali in tal senso ce ne sono stati prima che cominciasse a dichiarare. Ma anche dopo, l’escalation non si è fermata. Ecco cosa scrivono i magistrati: Successivamente alle dichiarazioni rese da Angelo Stracuzzi, lo stesso è stato protagonista di ulteriori episodi che si ritiene doveroso segnalare. In data 28.10.2009, ignoti, dopo aver frantumato il vetro della sua autovettura Golf, collocavano al suo interno 10 proiettili cal.7,65 marca “Fiocchi”.

Ennesimo fatto riferito da Angelo Stracuzzi attiene ad una presunta richiesta di denaro pari a 20.000 euro rivolta al padre Giuseppe, da un tale che diceva di essere fratello di Emanuele Sanfilippo, costui attualmente detenuto perché arrestato per il reato di associazione mafiosa, a termine di un’operazione di polizia che lo portava in carcere unitamente a Vincenzo Cardella e ad altri individui del comune di Licata.

In merito a tali episodi, in data 13 novembre 2009, Angelo Stracuzzi veniva escusso dalla Polizia. In particolare venivano chieste precisazioni in merito alla denuncia da lui sporta in data 28.10.09, relativa all’episodio del ritrovamento di 10 proiettili” all’interno della propria autovettura.

Stracuzzi dichiarava di non avere sospetti su alcuno, riferendo però su delle circostanze verificatesi prima della subita minaccia. Dichiarava che circa un mese prima di tale fatto, Pasquale Cardella si presentava per l’ennesima volta nella ditta Airone srl  del cognato Fabio Alaimo, marito di Letizia Stracuzzi, che si occupa della vendita di gasolio agricolo ed industriale all’ingrosso, pretendendo la fornitura di gasolio per uno dei suoi mezzi. Alaimo avrebbe accampato delle scuse per ritardare la fornitura, dicendo al Cardella che aveva bisogno di una visura camerale, in modo da censire la ditta. Cardella  dopo pochi giorni  presentava una visura camerale della ditta a nome di Gianluca Vedda, impresa individuale con sede a Licata.

Sospettando che Pasquale Cardella non avrebbe mai pagato le forniture precedenti, al fine di non avere più contatti con lo stesso, Alaimo non avrebbe effettuato la fornitura richiestagli,  e non aveva alcuna intenzione di effettuarne. Stracuzzi riferiva ancora di un altro episodio. Circa a metà del mese di ottobre 2009, il padre Giuseppe lo avrebbe informato che giorni prima, un giovane presentatosi come fratello di Emanuele Sanfilippo, gli avrebbe detto che Angelo Occhipinti, inteso “piscimoddu”, all’epoca detenuto, lo aveva incaricato di riferirgli che pretendeva la somma di euro 20.000, senza fornire altre spiegazioni.  Il padre, gli raccontava, avrebbe a quel punto detto al giovane che lui non era in grado di dare soldi a nessuno, troncando ogni discussione.

Angelo Stracuzzi riferiva che, conoscendo il padre, questi non avrebbe confermato mai tali fatti dinanzi le autorità preposte, sia per timore della propria incolumità, sia per evitare di avere ancora a che fare con quelle persone.  Ribadiva di aver sempre subito minacce da parte di Pasquale Cardella ed Angelo Occhipinti, e di essere stato spesso costretto a sottostare ai loro ricatti. Precisava di riuscire in parte ad evitare il Cardella, ma di temere molto Angelo Occhipinti, allora detenuto, soggetto assai violento ed imprevedibile, capace di porre in  essere qualsiasi azione delittuosa.

In merito a Pasquale Cardella riferiva che lo stesso stava effettuando in quel periodo diverse forniture di inerti presso i due impianti di calcestruzzo esistenti a Licata.

Pasquale Cardella acquisterebbe il materiale da rivendere utilizzando delle ditte a nome di altri, ciò al fine di non pagare le forniture. Una di queste ditte è la Car Trasporti srl, mentre un’altra dovrebbe risultare a nome di Gianluca Vedda.

In merito alla Car Trasporti srl, Stracuzzi ricordava di aver avuto modo di incontrare, nell’autunno del 2008, tale Frittitta di Palermo, proprietario di una rivendita all’ingrosso di carburante, con sede a Palermo. Quest’ultimo era in compagnia del signor Rau, che espleta l’attività di rappresentate per conto dello stesso  Frittitta. I due gli avrebbero chiesto in quell’occasione  se era in grado di indicargli l’indirizzo delle ditte che Cardella forniva, al fine di effettuare dei pignoramenti presso terzi, per il recupero del loro credito, visto che il Cardella non voleva loro pagare le forniture. 

Frittitta in quella circostanza gli raccontava che voleva agire in questo modo perché non voleva più incontrare Pasquale Cardella. Gli raccontava che nell’ultimo incontro avuto con Cardella per il recupero del credito, questi gli avrebbe detto che non avrebbe pagato nulla, minacciandolo di morte.

 Prima di concludere la disamina delle dichiarazioni rese da Angelo Stracuzzi appare opportuno segnalare quanto a lui accaduto in data 17 settembre 2010.  In tale data ignoti, dopo averlo individuato presso un sito agro di Riesi, esplodevano al suo indirizzo colpi d’arma da fuoco che solo grazie ad una sua tempestiva fuga non lo colpivano. Tali fatti sono stati denunciati da Angelo Stracuzzi alla Squadra Mobile della Questura di Caltanissetta.

Tutte queste dichiarazioni avevano scatenato i malumori dei mafiosi licatesi compresi i boss conclamati. E l’indagine “Assedio – Halicon” ne svela nella sua interezza i contenuti.

Il perdono del boss Lauria: “Parla con noi non con gli sbirri”

Scrivono i giudici: Giovanni Lauria aveva avuto un dialogo tempo addietro con il padre di Stracuzzi Angelo, l’ormai defunto Stracuzzi Giuseppe, e svelava che la causa delle perplessità nutrite in ordine al coinvolgimento dello Stracuzzi Angelo in affari così delicati per l’intera consorteria risiedeva proprio in asserite dichiarazioni che il medesimo Stracuzzi avrebbe in passato reso all’Autorità Giudiziaria sul conto dello stesso Occhipinti Angelo e di altri soggetti; comportamento questo che aveva per l’effetto definitivamente incrinato la fiducia accordatagli dall’intera associazione. Stracuzzi Angelo, nel contesto dell’indagine denominata ”Ouster” e che aveva poi portato alla condanna definitiva dell‘Occhipinti e di Galanti Giuseppe, aveva inizialmente reso delle dichiarazioni etero accusatorie poi ritrattate. Nel prosieguo della conversazione Occhiplnti Angelo raccontava a tal proposito a Giovanni Lauria di avere raggiunto un chiarimento con lo Stracuzzi il quale si era mostrato interessato a riconquistare la fiducia dell‘Occhipinti e dal quale aveva anche ripreso a ricevere protezione. Occhipinti Angelo, sempre in merito  allo  Stracuzzi, proseguiva affermando di essere consapevole trattarsi di un soggetto che all’interno  di  Cosa  nostra  gode dell’appoggio  di  qualcuno molto importante.

Continuando, Occhipinti Angelo riferiva al suo interlocutore di avere parlato con lo Stracuzzi della sua  situazione  all’interno della consorteria mafiosa, ma che ciononostante, per l’affare legato al nuovo appalto milionario,  nutriva alcune perplessità  sull’eventuale coinvolgimento dello stesso Stracuzzi, temendo che ciò avrebbe finito con l’esporre l’associazione al rischio di investigazioni.

Quindi, sempre Lauria Giovanni proponeva ad Occhipinti Angelo, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, di valutare se a lungo andare, fosse stato conveniente o meno avere con e socio Stracuzzi Angelo, esprimendo nel contempo il proprio dissenso giacchè questi avrebbe potuto nuovamente tradire la consorteria rivolgendosi ancora una volta all’Autorità Giudiziaria. I medesimi dubbi sulla effettiva lealtà a cosa nostra di Stracuzzi Angelo venivano espressi anche dall‘Occhipinti il quale però, con riferimento all’eventuale esclusione dell’interessa to dall’affare, ipotizzava che lo Stracuzzi, vedendosi chiusa la porta in faccia (alludendo al futuro appalto) avrebbe potuto, per vendetta, rivolgersi alla Polizia giudiziaria svelando gli affari illeciti nei quali era coinvolta la famiglia di Licata (a lui evidentemente noti), facendo accentrare su di loro le investigazioni dell’Autorità giudiziaria. Comprendendo che Occhipinti Angelo per il momento non aveva intenzione di creare contrasti con Stracuzzi Angelo – ciò in considerazione della situazione non definita che riguardava questo soggetto all’interno della consorteria mafiosa ( …noi stiamo… stiamo dialogando, parlando per cercare di capire le cose…) Lauria Giovanni teneva a precisare che suo cugino Lauria Angelo, strategicamente, avrebbe avuto intenzione di rifiutare con diplomazia la proposta dello Stracuzzi, accampando come scusa il fatto di dover  rientrare delle spese avendo sostenuto esosi costi per l’acquisto di numerosi immobili.

Lauria Giovanni affermava, inoltre, di sospettare che la richiesta di Stracuzzi di entrare in società con  Lauria Angelo  fosse unicamente finalizzata  ad  un  tentativo  dello  stesso  Stracuzzi  di rientrare nelle sue grazie (di Lauria Giovanni). Continuando, Lauria Giovanni  raccontava allora del chiarimento avuto con lo Stracuzzi Angelo, narrando di essere stato cercato dal padre di quest’ultimo, Giuseppe, il quale gli aveva mandato un messaggio attraverso il genero Alaimo Fabio. Dalla conversazione si comprendeva ancora che prima di incontrarsi con Stracuzzi Giuseppe, Lauria Giovanni casualmente presso un commercialista di Licata si era visto proprio con Stracuzzi Angelo ed in questa circostanza il Lauria lo aveva rimproverato di essersi rivolto agli “sbirri  invece di chiarire la cosa all’interno della famiglia; comprendendo il suo errore, lo Stracuzzi gli aveva domandato formalmente e sinceramente scusa e, a seguito di ciò, il Lauria lo aveva perdonato.

L’intervento della massoneria per salvare i beni

Il 3.10.2016  veniva intercettata conversazione tra Lutri e Casa durante la quale Casa riferiva al massone che all’appuntamento fissato per l’indomani si sarebbero recati “Serafino” (Cusumano), “l’altro amico che ci siamo visti qui” (Alaimo Fabio) ed “il cognato” (Stracuzzi Angelo); Lutri replicava “mi devono portare pen drive e quello che sanno..”. Grazie al servizio di osservazione dinamica predisposto dal Ros, il 4.10.2016 veniva effettivamente documentata una riunione tra Lutri, Cusumano Serafino, Stracuzzi Angelo ed Alaimo Fabio all’interno dell’area di servizio Eni – Torre Bonagia:

Il servizio di intercettazione ambientale  nei confronti di Lutri Lucio permetteva di registrare buona parte del dialogo sebbene esso, come riferito dal Ros risultasse a tratti incomprensibile.

In sintesi: Lutri si impegnava a condurre un’operazione senza però poterne garantire il risultato, con ciò chiaramente riferendosi alle attività che avrebbe dovuto svolgere per consentire a Stracuzzi di riottenere i beni che gli erano stati confiscati e di cui, come abbiamo visto sopra, aveva già discusso con Alaimo Fabio il 30.09.2016; in relazione alla operazione che avrebbe dovuto condurre, Lutri citava una somma pari a 5.000 euro; Stracuzzi valutava quindi che, in funzione di ciò che doveva essere fatto, sarebbe stato necessario muoversi subito e citava la data del 14.02.2005, indicandola come l’inizio della vicenda giudiziaria che lo aveva riguardato ; a seguire gli intercettati parlavano della data entro la quale il legale avrebbe dovuto presentare il ricorso (e cioè il 09.10.2016 secondo Alaimo) e Lutri, appreso ciò, esclamava “nel momento in cui lui presenta questa cosa … va bene … contestualmente noi ci muoviamo … – omissis – giusto? Quindi questa è l’operazione … – omissis – contestualmente … pen drive … o posta elettronica e noi ci muoviamo”; al riguardo Alaimo affermava di avere “caricato la pen drive”;

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