Operazione “White Shark”: arrestato anche fratello della vedova dell’agente Schifani
Il ricordo della strage di Capaci resta legato alla sua immagine: una giovane donna in lacrime, appena rimasta vedova, che non riesce a seguire il “copione” suggerito dal sacerdote che le sta accanto. E durante i funerali di Giovanni Falcone e dei tre agenti della scorta, in una chiesa stracolma e disperata, rivolgendosi ai mafiosi […]
Il ricordo della strage
di Capaci resta legato alla sua immagine: una giovane donna in lacrime, appena
rimasta vedova, che non riesce a seguire il “copione” suggerito dal
sacerdote che le sta accanto.
E durante i funerali di
Giovanni Falcone e dei tre agenti della scorta, in una chiesa stracolma e
disperata, rivolgendosi ai mafiosi che le hanno ucciso il marito urla “io vi perdono ma vi dovete
inginocchiare”.
Rosaria Schifani, vedova
di Vito Schifani, saltato in aria su una montagna di tritolo il 23 maggio del
1992, è diventata l’emblema del dolore di una intera nazione.
Oggi, a distanza di 28
anni dall’attentato, si torna a parlare di lei e della sua famiglia perchè tra
gli arrestati nel blitz della Dia che ha riportato in cella il boss palermitano
Gaetano Scotto c’è suo fratello, Giuseppe Costa, ufficialmente muratore, di
fatto, dicono gli investigatori, riscossore del pizzo per conto del clan.
La notizia circolata come
indiscrezione in giornata è stata confermata in serata dagli inquirenti.
Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa: sarebbe affiliato alla
famiglia di Vergine Maria. Per conto della cosca avrebbe tenuto la cassa,
gestito le estorsioni, “convinto” con minacce le vittime –
imprenditori e commercianti – a pagare la “tassa” mafiosa, assicurato
alle famiglie dei mafiosi detenuti il sostentamento.
Ristoranti, negozi,
concessionarie di auto, imprese: nel quartiere pagavano tutti e Costa sarebbe
stato tra i collettori del pizzo.
Gli inquirenti lo
descrivono come pienamente inserito nelle dinamiche mafiose della
“famiglia”, tanto che, alla scarcerazione del boss della zona,
Gaetano Scotto, per rispetto al padrino invita le sue vittime a dare il denaro
direttamente a lui.
L’indagine fotografa
anche il ruolo di vertice che Scotto aveva riconquistato nel clan. Già accusato
di mafia, il boss è ora parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini
sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino.
Accusato ingiustamente da
falsi pentiti fu condannato all’ergastolo e poi scarcerato. Oggi siede come
vittima davanti ai tre poliziotti accusati di aver depistato l’indagine.
Nel blitz di oggi è stato
coinvolto anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche
lui accusato nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Per la polizia
aveva captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava
per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio davanti alla
quale fu piazzata l’autobomba.
Pietro Scotto, condannato
in primo grado, era stato poi assolto in appello.