Mafia

Relazione semestrale della Dia, Cilona: “L’imprenditore deve avere il coraggio di denunciare”

La Dia di Agrigento descrive lo scenario mafioso in provincia: occhi puntati su emergenza sanitaria e rapporti fuori il territorio

Pubblicato 3 anni fa

Pubblicata la consueta relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, un’analisi di dati freddi sulle organizzazioni criminali presenti sul territorio che fa riferimento appunto ai primi sei mesi del 2020. Un lavoro prezioso che ha l’obiettivo di esaminare la situazione attuale per prefigurare lo scenario criminale dei prossimi anni, che andrà evidentemente a sovrapporsi ad un sistema economico già segnato da un Pil in forte recessione. 

Ed è proprio quello che è stato fatto dagli agenti della Dia di Agrigento, guidati dal vicequestore Roberto Cilona, che hanno di fatto intercettato i segnali con i quali le organizzazioni mafiose punteranno, da un lato, a “rilevare” le imprese in difficoltà  finanziaria, esercitando il suddetto welfare criminale ed avvalendosi dei capitali illecitamente conseguiti mediante i classici traffici illegali, dall’altro, a drenare le risorse che verranno stanziate per il rilancio del Paese. Un anno caratterizzato dall’emergenza sanitaria Covid-19, un evento di portata globale non ancora superato, che ha avuto un impatto notevole con effetti devastanti sul piano sia della salute delle persone, sia della tenuta del sistema economico. L’analisi dell’andamento della delittuosità riferita al periodo del lockdown ha mostrato che le organizzazioni mafiose, a conferma di quanto previsto, si sono mosse con una strategia tesa a consolidare il controllo del territorio, ritenuto elemento fondamentale per la loro stessa sopravvivenza e condizione imprescindibile per qualsiasi strategia criminale di accumulo di ricchezza. Controllo del territorio e disponibilità di liquidità che potrebbero rivelarsi finalizzati ad incrementare il consenso sociale anche attraverso forme di assistenzialismo a privati e imprese in difficoltà.

Cosa Nostra e Stidda in provincia di Agrigento

La provincia di Agrigento è storicamente caratterizzata dalla forte pervasività sia di cosa nostra sia, in alcune aree, della stidda, che condizionano negativamente lo sviluppo del territorio depauperandone il tessuto sociale e produttivo. Lo stesso Capoluogo, nonostante la presenza del sito archeologico della “Valle dei Templi” potenziale volano per un indotto di rilievo, versa in una situazione economicamente critica evidenziando carenze infrastrutturali ed organizzative dovute alla “parassitizzazione” del territorio da parte dei sodalizi mafiosi. Facendo leva sulla limitata presenza di iniziative economico-produttive e sulla diffusa situazione di disagio sociale, la criminalità organizzata trova nella provincia terreno fertile per reclutare manodopera tra i numerosi disoccupati/inoccupati e per riscuotere anche un certo consenso nelle fasce più emarginate e bisognose della popolazione. Il contesto criminale è caratterizzato dalla presenza diffusa di cosa nostra, che vanta un’organizzazione capillare e pienamente operativa e che conserva la tradizionale ripartizione in 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro), al cui interno operano 42 famiglie. La stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia, oltre ad avere evidenziato capacità di proiezioni esterne ed una significativa evoluzione degli interessi criminali. Cosa nostra agrigentina conferma i caratteri di un’organizzazione verticistica, rispettosa delle tradizionali regole interne e che evidenzia collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi, non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto che, nel semestre in esame, hanno trovato aggiornata conferma con l’indagine “Waterfront” di cui si argomenterà più avanti. Pur conservando una struttura fondamentalmente unitaria, in alcune articolazioni da tempo emergono contrasti che degenerano in episodi di violenza. Alcune difficoltà si riscontrano, inoltre, sulla scelta per la reggenza di mandamenti e di famiglie. In altri casi è da sottolineare la rilevanza delle scarcerazioni di importanti uomini d’onore che, facendo ritorno al territorio d’origine, intendono riconquistare l’antico potere anche in forza di personali contatti con altre consorterie, in tal modo potendo aumentare il prestigio e la forza delle articolazioni d’appartenenza. Al riguardo, è opportuno rammentare, per la particolare rilevanza, alcuni aspetti dell’operazione “Passepartout” del novembre 2019, che ha, tra l’altro, disvelato obiettivi criminali di rilevanza strategica, tra i quali la ricostituzione di una rete di relazioni anche di carattere internazionale. Sono stati infatti documentati i rapporti intrattenuti da affiliati a cosa nostra di Sciacca con soggetti mafiosi operanti nel territorio di Porto Empedocle (AG), Castelvetrano (TP), Castellammare del Golfo (TP) e con taluni personaggi contigui alla famiglia ma osa Gambino di New York, nonché con associati ma osi agrigentini emigrati in Canada e negli Stati Uniti d’America, al fine di intraprendere e controllare nuove attività economiche. Il secondo obiettivo criminale svelato dall’inchiesta è identificabile nel tentativo di indebolire l’“assetto normativo di contrasto alla criminalità mafiosa”, incidendo sui regimi detentivi speciali, ovvero quello inerente all’applicazione dell’art. 41 bis 2° comma O.P. e quello relativo alle sezioni “Alta Sicurezza 3”. Al “progetto” era stata richiesta la contribuzione attiva di Matteo Messina Denaro. 

I settori in cui opera la mafia agrigentina 

Per quanto attiene ai settori di operatività mafiosa, si rileva un ampio “paniere” di attività criminali. Coesistono, peraltro, iniziative distinte, alcune delle quali più “tradizionali” ed altre più innovative, che spesso vedono il coinvolgimento di agrigentini che operano, nell’ambito di sodalizi criminali compositi, al di fuori della loro provincia. È significativa la capacità di cosa nostra agrigentina di condizionare l’attività politico– amministrativa degli Enti pubblici territoriali per l’accaparramento degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione della Pubblica Amministrazione. Recenti attività investigative hanno anche documentato come l’ingerenza della mafia agrigentina nel tessuto politico­imprenditoriale si avvalga anche delle reti relazionali di soggetti appartenenti a logge massoniche. Le ingerenze criminali si realizzano, inoltre, tramite la consueta pressione estorsiva sulle attività imprenditoriali esercitata con danneggiamenti e minacce di vario genere. Tale pratica illecita è particolarmente decisa nei confronti delle imprese edili inserite in un settore che risulta condizionato anche da una consolidata prassi criminale di controllo degli impianti di produzione di calcestruzzo. Nel semestre, e a seguito della costante attività di monitoraggio effettuata dalla Prefettura a cui la DIA partecipa nell’ambito dei Gruppi Interforze, è stato emesso un provvedimento interdittivo a carico di un’impresa edile ubicata nel comune di San Biagio Platani per infiltrazioni mafiose. Nella gestione dello spaccio di droga si segnala l’operazione “Casuzza”, conclusa dalla Polizia di Stato il 9 giugno 2020, con la disarticolazione di un gruppo criminale – estraneo a dinamiche mafiose – operante nella spaccio di cocaina e hashish, nei comuni di Favara e Canicattì.

Oltre all’interesse delle consorterie per il controllo del gioco d’azzardo, l’impegno criminale nel narcotraffico evidenzia la necessità di considerare la proiezione delle consorterie all’estero agevolata dalla forte emigrazione agrigentina verso i Paesi dell’America e dell’Europa che ha portato alla ricostituzione all’estero di aggregati delinquenziali aventi stretti legami con quelli d’origine, dai quali mutuano caratteristiche, interessi e metodi criminali e per i quali rappresentano utili punti di riferimento. Tradizionalmente, le consorterie agrigentine occidentali si sono proiettate verso i Paesi del Nord America ed in taluni casi dell’America Latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle del versante orientale verso i Paesi del Nord Europa, con particolare riguardo a Germania e Belgio. Relativamente alle proiezioni in quest’ultimo Paese, una serie di gravi fatti di sangue accaduti negli ultimi anni a Favara e in Belgio ha evidenziato l’esistenza di una faida originata da dissidi riconducibili al narcotraffico, sull’asse Belgio-Agrigento. Quest’ultima ipotesi ha trovato recente conferma nell’operazione “Mosaico”, del settembre 2020, con la quale è stata ricostruita l’evoluzione di una consorteria criminale attiva nel narcotraffico, inizialmente coesa ma che, per contrasti sulla gestione di tale illecito, ha subito scissioni e una contrapposizione interna violenta. 

Il condizionamento dell’attività politico-amministrativa 

Come accennato in premessa, è poi significativa la capacità di cosa nostra agrigentina di condizionamento dell’attività politico–amministrativa con particolare riferimento agli Enti pubblici territoriali di cui cerca di controllare od orientare l’azione mediante accordi con esponenti politici, amministratori di enti locali, pubblici uf ciali ed incaricati di pubblici servizi, ovvero attraverso la diretta infiltrazione degli organi elettivi. Tali pratiche hanno condotto, nel corso degli ultimi anni, allo scioglimento di diversi comuni per ingerenze mafiose. Allo stato permane la gestione commissariale del Comune di San Biagio Platani, mentre a Camastra le elezioni amministrative si sono svolte, nell’ottobre 2020, dopo un prolungato commissariamento. La ricerca di nuove modalità di arricchimento porta, poi, i criminali agrigentini, anche non intranei a consorterie mafiose, ad agire fuori provincia in sinergia con le famiglie di altre aree siciliane e con altre realtà criminali operanti in diverse regioni del Paese. L’operazione “Sorella Sanità”, del 21 maggio 2020, più ampiamente descritta nel paragrafo inerente alla provincia di Palermo, ne è eloquente dimostrazione. In questo caso a risultare coinvolto è un libero professionista agrigentino, esponente di quell’ “imprenditoria grigia” che intrattiene relazioni d’affari con la criminalità organizzata. Le investigazioni hanno nella circostanza accertato l’esistenza di un circuito corruttivo che condizionava le gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’ASP-6 di Palermo per un valore stimato di quasi seicento milioni di euro. Fra gli arrestati  gura il citato imprenditore agrigentino, rappresentante legale di una serie di società attive nel settore sanitario e ritenuto collettore delle tangenti, nonché interlocutore privilegiato degli operatori economici che intendevano aggiudicarsi importanti appalti e/o ottenere lo “sblocco” di pagamenti. Aggiornata testimonianza dell’interesse verso il settore dei pubblici appalti è del resto fornita dall’operazione “Waterfront”, del 28 maggio 2020, che ha ulteriormente confermato la sinergia esistente tra imprenditori agrigentini particolarmente spregiudicati e consorterie operanti in altre regioni. L’indagine ha, infatti, permesso di individuare un cartello di imprese gestito e coordinato dalla cosca dei Piromalli, operante nel circondario di Gioia Tauro (RC), in grado di orientare il risultato delle gare di appalto a proprio favore. In particolare, uno degli indagati, in qualità di gestore delle società aggiudicatarie degli appalti indetti dai Comuni di Gioia Tauro e Rosarno  finanziati, con “fondi P.I.S.U.”,“…ha promosso, coordinato e diretto l’attività di un cartello occulto di imprese…”, realizzando “…una sistematica truffa ai danni di enti nazionali e comunitari, frode nelle pubbliche forniture, nonché falsi e abusi d’ufficio in relazione alle gare di appalto sopra indicate indette dalle stazioni appaltanti pubbliche…”; il tutto “…in violazione delle norme del codice degli appalti”. Tra gli arrestati  figurano n. 4 imprenditori agrigentini che mettevano, stabilmente, la propria impresa ­ con le relative capacità economiche e tecniche ­ a disposizione dell’associazione criminale. In tale contesto consentivano all’organizzazione malavitosa di acquisire ingenti profitti ai danni delle stazioni appaltanti “…eseguendo lavorazioni difformi, con materiali di qualità inferiore a quella prevista dal capitolato di appalto…”. 

Le proiezioni della mafia agrigentina in altri territori 

Nell’ambito della proiezione dei criminali agrigentini in altri contesti territoriali si rammenta, inoltre, che un’organizzazione di prevalente origine stiddara aveva costituito nel nord Italia, a Brescia, Torino e Milano, una struttura indipendente dalla matrice siciliana ed operante nel campo della criminalità economica. Segnatamente, l’indagine aveva disarticolato un gruppo criminale, del quale facevano parte anche soggetti originari della provincia di Agrigento, ideatore di un “sistema” di cessione di crediti  scali inesistenti che permetteva un’evasione  scale per decine e decine di milioni di euro. Altra aggiornata testimonianza è costituita dall’operazione “Jackpot”, dell’11 febbraio 2020 condotta dai Carabinieri di Roma, che ha consentito di smantellare un’organizzazione criminale, capeggiata e in ampia parte costituita da agrigentini, che imponeva “….mediante violenza e minaccia, implicita ed esplicita, esercitando pressioni e minacce nei confronti dei concorrenti…” i propri apparati da gioco ad alcune sale giochi di Roma nord “….al  ne di garantire gli interessi economici dell’organizzazione stessa ed acquisire una condizione di monopolio nella conduzione del gioco d’azzardo nell’area di Roma Nord…”. Inoltre, è stato disvelato un circuito di giochi “parallelo” a quello legale dove l’attività investigativa ha ricostruito i rapporti esistenti tra il vertice della predetta organizzazione ed altre consorterie criminali, anch’esse di tipo mafioso, operative nel territorio capitolino quali: il clan Senese, di origine campana; il gruppo romano dei Gambacurta; il clan Triassi di cosa nostra originario di Cattolica Eraclea (AG) e trapiantato ad Ostia (RM). Si ravvisa, quindi, una sorta di “emigrazione criminale” che consegue alla volontà di ampliare la rete relazionale e l’area di influenza. Significativa al riguardo la circostanza che numerosi sono gli appartenenti a consorterie mafiose agrigentine che, a seguito della scarcerazione, eleggono il domicilio in città del centro e del nord Italia. Una scelta che, verosimilmente, sottende alla ravvisata opportunità di ampliare o di trasferire i propri interessi illeciti in altre regioni ove il fenomeno ma oso risulta spesso non immediatamente riconoscibile. 

La droga 

Nel contesto criminale agrigentino, infine, continuano ad operare gruppi stranieri, in particolare maghrebini, egiziani e romeni. Sono tollerati dalle compagini mafiose in quanto dediti solo a rapine e furti in abitazione, sfruttamento della prostituzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Attuale conferma è offerta dall’operazione “Bazar”, conclusa dai Carabinieri il 19 maggio 2020, che ha permesso di fermare soggetti italiani e stranieri ritenuti appartenenti ad un sodalizio criminale che avrebbe gestito una consistente rete di spaccio di droga, acquistata a Palermo e trasportata in vani creati ad hoc nelle auto di corrieri e spacciata nel territorio di Ribera (AG). Ad occuparsi dello spaccio erano alcuni tunisini, al vertice del gruppo, che cedevano lo stupefacente a clienti agrigentini talvolta anche minorenni.

Il pericolo di intercettare i finanziamenti del Covid-19

Anche nel semestre in esame sono stati eseguiti provvedimenti ablatori. In particolare, il 3 aprile 2020 il Tribunale di Agrigento irrogava, nei confronti di un soggetto di Cattolica Eraclea (AG), in ragione della sua pericolosità sociale “qualificata”, in quanto esponente di spicco di cosa nostra e succeduto al padre nel ruolo di vertice della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea, la misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di tre anni e contestuale decreto di confisca di un compendio di beni, già sottoposto al vincolo del sequestro, del valore di circa 752 mila euro. Il 1° giugno 2020, in località Torre Salsa del comune di Siculiana, è stata data esecuzione al sequestro di terreni agricoli, del valore di circa 50 mila euro, nei confronti di un soggetto attualmente detenuto poiché tratto in arresto nel 2015 nell’ambito dell’operazione “Icaro” per il reato di associazione mafiosa. In conclusione, si ritiene che proseguirà lo stato di equilibrio pacifico tra cosa nostra e la stidda nei territori d’elezione della stessa. Nel breve periodo, stante il perdurare della pandemia ed il prevedibile acuirsi della crisi di liquidità che interessa le realtà imprenditoriali agrigentine, già tendenzialmente economicamente deboli, è verosimile un tentativo di un’ulteriore infiltrazione del tessuto economico-produttivo, da parte di entrambe le organizzazioni, se non altro per intercettare i  finanziamenti pubblici che saranno erogati per fare fronte all’emergenza sanitaria in atto.

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