Agrigento

Dopo “Lisistrata” degli anni 70 Aristofane torna ad Agrigento con “La pace”

Il regista dello spettacolo, Daniele Salvo di scuola ronconiana è noto agli agrigentini per una “Cassandra” (con  la nostra Barbara Capucci)

Pubblicato 10 mesi fa

Si era in una estate degli  anni 70 ad Agrigento e iniziavano a far capolino gli spettacoli all’aperto. Il  sindaco di allora Paolo Ciotta era in prima fila insieme a buona parte della Giunta comunale per applaudire lo spettacolo “Lisistrata” di Aristofane, personaggio che in tempi di guerra del Peloponneso inneggiava e pretendeva la pace fino al punto che Lisistrata propose alle donne di Atene lo sciopero del sesso in boicottaggio agli  uomini guerreschi. Al sindaco Ciotta mal gliene incolse e allorchè vide apparire sulla scena Lisistrata  con indosso solo una piccola conchiglia sul pube e con altrettante due conchigliette sui capezzoli, in segno di protesta abbandonò rumorosamente lo spettacolo.

La notizia ebbe una eco anche in un editoriale del settimanale cattolico L’amico del popolo. Oggi, altri tempi, il sindaco Franco Miccichè può impunemente e gloriosamente proporre alla città “La pace” di Aristofane che si spera potrebbe segnare un punto a sua favore nel rilanciare una Agrigento capitale della cultura che già (a sua insaputa) lo era  sommando ai templi gente come Pirandello, Sciascia e l’ancora sconosciuto D’Errico  di cui Beniamino Biondi sta cercando di farne comprendere la grandezza. Dimenticando il “Teatro di pietra” del Parco dell’Addolorata che perisce scandalosamente dopo essere costato qualche miliardo delle vecchie lire, la messa in scena della Pace aristofanesca si è svolta sul pianoro di San Gregorio, sotto la collina dei templi che si intravedevano nel buio della notte. Il regista dello spettacolo, Daniele Salvo di scuola ronconiana è noto agli agrigentini per una “Cassandra” (con  la nostra Barbara Capucci) al teatro di Giunone di qualche anno fa e che ribadiva  le sue inclinazioni al teatro di regia a suo modo cannibalesco coinvolgendo persino la colonna sonora che assumeva  un suo ruolo preminente. Anche qui la colonna sonora è fondamentale ed eterogenea e lo stesso regista lo ammette orgogliosamente nelle sue note di regia. Chissà cosa gli direbbe Vittorio Sgarbi, critico eccellente che rifiuta il maggio 68 nella recente  Boheme) nell’ascoltare  “beviam nei lieti calici” (la Traviata) che accompagna la felicità dei contadini aristofaneschi che brindano alla ritrovata “Eirene”. Non solo, che dire dei “bagagli e bagaglini” che affiorano tra le battute e poi nelle parole con quel “Signore pietà” – come da pontificale) e che riecheggia non solo musical di Cocciante ma addirittura l’eco del “Padre nostro” favoloso finale dei “Promessi sposi” di Guardì-Flora.

In brevissimo la trama: si inizia col contadino Trigeo mentre nutre un gigantesco scarabeo con cui intende raggiungere il mondo degli dei, trovare la divinità pace e riportarla sulla terra, Nutrimento fatto di sterco e per il primo quarto d’ora la scena è popolata di “merda e merdacce”, per fortuna il fetore non si sente perché l’intelligenza computazionale non ha ancora inventato gli odori a teatro. Trigeo riesce nel suo intento a cavallo dell’enorme scarabeo ma lo attende una brutta sorpresa, le dimore degli dei sono vuote, l’unico rimasto è il dio Ermes che bada alle masserizie. Gli altri dei disgustati dalle atrocità della guerra si sono ritirati nelle zone più remote. Trigeo con l’aiuto del coro (e delle ellittiche agevolazioni di sceneggiatura) trae fuori da una caverna la Pace (“eirene”), l’abbondanza (“opera”) la festa (“teoria”) e tre graziose fanciulle che Trigeo riporta sulla terra.

Tutto sommato un ideale di vita contadina che sbaraglia gli oppositori, e che nel mettere da parte le smanie di potere consente all’uomo di raggiungere  la soddisfazione dei suoi bisogni più genuini. Alla fine non manca l’Epitalamio con nozze fra Trigeo e “opera”. Ma non finisce qui, Daniele Salvo vi aggiunge un incubo finale facendo apparire fuori scena un “men in black” in doppio petto, calzamaglia sul viso e con in mano una 44 Magnum pronta a sparare. Ma Daniele Salvo non è tipo da accettare i diktat di Sgarbi né dirigerebbe mai una commedia a occhi bendati. “Aristofane era il Tim Burton dell’antichità – racconta il regista – un visionario, imprevedibile e pieno di trovate spiazzanti. Il testo ci parla dell’utopia del viaggio di un uomo che vola verso l’Olimpo per liberare la pace rinchiusa in una grotta. Contiene concetti molto contemporanei. Gli unici in grado di liberare la pace sono i contadini. È un po’ pasoliniano. Politici alla berlina e mondo teatrale corrotto in cui Aristofane non si riconosceva”. Da Bruxelles a Lampedusa passando per Kiev e San Pietroburgo il tema è quello della pace, impossibile da raggiungere per la stupidità e la corruzione dell’umanità.  Agrigento capitale della cultura, nel suo piccolo, si assuma la responsabilità della sua identificazione.

Foto di Diego Romeo

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