Cultura

Il comico e il tragico aprono la stagione teatrale agrigentina

Altro discorso per il cabaret del Posta Vecchia che come ogni anno apre le danze della stagione teatrale agrigentina.

Pubblicato 7 mesi fa

Torna la satira ma torna anche Medea, personaggio estremo, tragico per eccellenza che ancora oggi si incarna nei delitti mostruosi tra razionalità e passione. L’ha portata in scena, anzi sull’improvvisata spianata delle divinità Ctonie a ridosso del tempio dei Dioscuri, il nostro Marco Savatteri. Che si è consentito un bel coup de théâtre portando in scena la splendida ottantenne Aurora Quattrocchi (attrice di Franco Scaldati, di Turturro, di Moni Ovadia, di Roberto Andò, di Tornatore, di Marco Risi) nelle vesti della Nutrice. Con lei Rinaldo Clementi nel ruolo di Creonte, Giulia Tarantino in Medea, Giancarlo Latina, col risultato di restituirci una Medea non con le grandi scenografie del Teatro greco di Siracusa ma utilizzando le impagabili, residue colonne del tempio dei Dioscuri e un grande telo bianco che diventa il simbolico deux ex machina che annoda le vicende e gli risolve la storia euripidea.

E non chiamateli “poveri escamotages” perché dalla sintesi che ne ha elaborato Savatteri, viene fuori una genuinità che sopisce le polemiche sulle odierne regie (per esempio “alla Livermore”) che sembrerebbero “sofisticare” le rappresentazioni classiche Forse è giunto il momento che il Parco Archeologico Valle dei Templi (in assenza scandalosa del Teatro del Parco dell’Addolorata) farebbe bene a “commissionare” la rappresentazione non di un sunto ma di una tragedia nella sua interezza, sullo stesso scenario dei Dioscuri, ripetendola una decina di volte onde consentire a un più vasto pubblico un appuntamento annuale molto identitario per la nostra città.

Altro discorso per il cabaret del Posta Vecchia che come ogni anno apre le danze della stagione teatrale agrigentina.

 Sulla scena Sergio Vespertino dell’antica scuola palermitana che riscuote ancora  consensi e che fugge programmaticamente dalla satira politica oggi molto in auge con i Crozza e Luca e Paolo (di Martedì). Quasi un timore riverenziale verso politici intoccabili che tra l’altro vengono persino ignorati dai talk show nazional-televisivi. Bisognerà farsene una ragione e intanto viene a mancare l’ossatura della satira adatta a procurare un esito finale  di carattere etico. Vorremmo ricordare per tutti che Henri Bergson definiva il comico “fustigatore sociale”. Vespertino  cerca di venirne fuori disperatamente e nelle sue note di regia ribadisce che “sopra il palazzo c’è un cane pazzo che se ne sta solo sul palcoscenico, che parla e straparla, inanellando slogan televisivi fino a lambire una camicità parossistica”. Con un suo finale poetico dove il dialogo con un fantoccio rivela la malinconia del clown. Una sorta di tristezza “post coitum” che ancora oggi e nonostante tutto trova un popolo fanciullo che si sganascia dalle risate. Come è accaduto al “Posta vecchia”, ombelico del teatro agrigentino.

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