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La badante di Matteo Collura

di Letizia Bilella

Pubblicato 8 mesi fa

 «E’ un dovere dell’uomo essere felice».

Italo Gorini, ultraottantenne professore di Lettere in pensione, vedovo e disabile, un figlio di trentacinque anni laureato e disoccupato, è accudito da una badante straniera che ne tiene desti i sensi e le fantasie. Sono di casa la sorella Maddalena e la cognata Giorgina, che a oltre settant’anni non ha abdicato alla propria femminilità. Ma un colpo di scena impensabile deflagra da un lontano passato e sconvolge i rapporti tra l’anziano invalido e la badante, mettendo in crisi i delicati equilibri dell’intera famiglia. L’ambigua relazione affettiva tra il professore e la sorella, rimasta nubile e per questo convinta di avere in mano il destino del fratello, nonché l’imprevista reazione del figlio, rendono sorprendenti gli esiti della vicenda. Questo romanzo si interroga su uno dei temi cruciali del mondo contemporaneo: il protrarsi, della vita, le ore diventano una lunga attesa, trasforma la vecchiaia in una crudele solitudine. Un ritratto di non poche famiglie d’oggi. Una situazione come tante, nell’Italia di oggi. L’equivoca relazione affettiva tra il protagonista della vicenda narrata e la sorella rimasta nubile, e perciò convinta di avere nelle sue mani il destino dell’anziano fratello, nonché l’imprevista reazione del figlio, rendono incandescenti gli esiti del romanzo.  “La badante”, è un romanzo di formazione, per il modo affabulatorio di raccontare, una storia emblematica di questi nostri tempi.  Protagonista del libro  un professore di lettere in pensione, Italo e Paula, la badante romena, deuteragonista. Il vecchio professore, come altri  tre milioni e mezzo di italiani colpiti da demenza senile, e altre malattie non sono  tagliati fuori dalla vita.  Il nostro professore manifesta momenti di lucidità, nei quali affiorano ricordi di una vita inquieta e laboriosa, ambiziosa, la moglie Margherita scomparsa cinque anni prima, la sua milizia in Libia, insegnante di lettere in un liceo classico di Bengasi, le molte avventure amorose. Le sue giornate ora trascorrono lente, confortate dalla presenza di Paula, una bella quarantenne; Maddalena, la sorella pragmatica, dal placido figlio trentacinquenne Desiderio, e dalla cognata Giorgina, settantenne, innamorata della vita.  C’è ancora vita dentro quel corpo immobile, risvegli di appetiti sessuali verso la matura e piacente Paula.  Compagna assidua la tristezza della malattia, l’incombere della fine.   La pietas di Manzoni incarnata da Paula, si piega a lenire la solitudine, del “dottore”, come la badante è solita chiamare il vecchio professore. Che non trascura di spiarla.  I ricordi dei vent’anni trascorsi in Libia, dov’era nato, suggestive  pagine sulla giovinezza nei notturni deserti libici, baciati da una luce «argentea e immensa» della luna, delle stelle. Una commozione autentica l’assaliva, ascoltando il padre che leggeva “Ciaula scopre la luna”; la stessa commozione che proverà nell’ascoltare le parole semplici del Papa Buono.  La sua mente richiamava i libri letti, i film visti, gli autori amati: Tolstoj, Cioran. Desiderare la vita ed esserne escluso. Al vecchio professore piaceva avere vicino Paula, sentirne la sua presenza, riempirsi lo sguardo, ascoltarne la voce, farle domande insinuanti. Anche la romena Paula era nata in Libia nel 1970, l’anno in cui Gheddafi li aveva cacciati dalla Libia, anche, Paula, aveva alle spalle un passato travagliato. Entrambi, si confessano, a Paula piaceva quel grande quadro appeso alla parete del soggiorno, l’Isola dei morti di Arnold Bocklin. Che il vecchio professore volle sostituire con la gigantografia di un dipinto del pittore francese Jean-Léon Gérome. Si intitola “Pollice verso”,  un combattimento fra due gladiatori, in un’arena dell’antica Roma.  Una scena emblematica. Gorini in attesa del colpo mortale. Un istante che è un’eternità. Il terrore non era della morte, ma nell’attesa. Paula frequentava un bravo ragazzo, Stefanu. Il vecchio professore ne era geloso.  Un giorno chiede al figlio Desiderio di portarlo a fare una passeggiata in macchina,  la città gli appariva deturpata, una gioventù senza ideali, un mondo corrotto dalla droga, dalla prostituzione. Ebbe una nottata inquieta, agitata, si svegliò presto, chiamò Paula, le chiese di essere accompagnato in soggiorno. Era già autunno, il borbottio dei tuoni annunziava la pioggia, il vecchio professore ne respirava l’odore. Ricordava quel cielo rosso del deserto di Libia. Tentò di baciarla, ma la donna si ritrasse sconvolta. Il desiderio si tramutò in disprezzo. Decise di licenziarla; doveva allontanarla, cacciarla via. L’autore ci dà un finale rasserenato, metafisico. Collura conclude la sua storia con una nota di cristiano sentire. Da vero maestro: di stile, di tessitura narrativa. Collura ha inteso trascrivere ambienti e personaggi su cartoni di ardita sintonia con la distribuzione delle storie. Da qui si muovono traiettorie di immagini simboliche di stati d’animo che appaiono immersi  in inquietudini profonde, indistinte attese di fatti nuovi.   L’autore vuole esplorare il segreto che è dentro, nel cuore delle azioni. Dal buio del passato straripa una violenta  forza visionaria, un salto di conoscenza che può aiutare l’inoltro nel territorio tumultuoso del presente.  Matteo Collura ha l’intenzione di chiedersi se a condizionare i fatti sia  la cronaca nuda o, piuttosto, l’onda insinuante e capricciosa di un tempo antico. Le “misteriose incongruenze della vita” e l’”ineluttabile astrazione della filosofia” si incontrano con gli automatismi della memoria, le cadute e gli enigmi di cui sono costellati i giorni. Una miscela che nel protagonista si nutre di cultura e di sensualità, dando il via a inimmaginabili situazioni accese  e  innestandosi in un  prepotente desiderio di rivincita nei confronti  del rifiuto di Paula  a certe avances.  La trama si dipana tra ricerca di approfondimento e spinta verso una comunicazione generosa di effetti verbali, la  pagina passa da sintesi folgoranti a  protratti ragionamenti, trattiene concetti senza interrompere la fluidità del ritmo.  Nubi basse tappezzano d’ombre il paesaggio. Si moltiplicano gli urti della realtà circostante, l’anziano uomo  precipita nel “vuoto”, accerchiato da un’esplosione di impulsi maligni.  Si apre un “campo di battaglia” dove da sempre il bene lotta con il male e sormontano altri dubbi e nuove acquisizioni sul progresso della scienza, un visionario viaggio verso il cielo, una musica ascoltata  in una perduta vigilia di Natale, là nel boscoso angolo dei Nebrodi.

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