“La stranezza”, film su un Pirandello chiuso in se stesso
Intervista di Diego Romeo a Mario Gaziano, direttore del “Pirandello stable festival”
Tu sei direttore del Pirandello stable festival dal 2001.Con quale occhio hai visto il film di Roberto Andò dedicato in qualche modo a Luigi Pirandello?
“In realtà “La stranezza” è in definitiva un’occasione filmica per raccontare non già la vita, quanto il percorso culturale ed umano che condusse Pirandello ad elaborare il suo maggiore capolavoro “ Sei personaggi in cerca d’autore”
Dunque non è rappresentato un Pirandello a tutto tondo con la sua storia, i suoi drammi, il suo amore tormentato?
“Assolutamente no. Anche se ci sono dei rimandi, degli accenni alla vita del Nobel agrigentino attraverso un raro flash-back (il ricordo della pazzia della moglie, rappresentata crudamente) o accenni attraverso le foto intraviste (Pirandello giovane studente – recuperata per il concorso da me ideato e consegnato al Kiwanis club “Una novella per Pirandello “, o ancora la foto di Antonietta Portulano, e poi l’accenno a Lumie di Sicilia). Andò racconta un Pirandello chiuso su se stesso, piuttosto malinconico, quasi in crisi creativa ma sempre in cerca di nuovi spunti, che si riveleranno, in seguito, rivoluzionari dal punto di vista drammaturgico”.
Ma il film si sviluppa come documento storico? Riconsegna l’atmosfera culturale degli anni durante i quali operò Pirandello?
“In qualche modo sì, anche se si muove su registri diversi, dalla commedia alla conclusiva suggestiva narrazione storica esistenziale”.
Ma filmicamente, dico?
Sul piano della scrittura cinematografica, il film mi è parso troppo sbilanciato sulla commediola di facile gusto, ammiccando forzatamente a battutine popolaresche sfruttando la grande personalità artistica di Ficarra e Picone. Invece mi è parsa filmicamente molto pregevole, anche sul piano della regia, la fase finale che racconta l’infausta prima rappresentazione de i “Sei personaggi” al teatro Valle del 1921, opera poi riscattata a Milano e soprattutto a Parigi con la regia di Marcel L’Herbièr”.
In definitiva, cosa resta di questa opera cinematografica “pirandelliana” ?
“Certamente la interpretazione bella e misurata di un grande Tony Servillo, la grande malinconia di Giovanni Verga (interpretato con precisa recitazione da Renato Carpentieri) ed una certa suggestione che spinge il pubblico ad inseguire con ansia, e in modo coinvolgente, l’intricato mondo intellettuale ed umano di Pirandello. Almeno per il pubblico agrigentino, dico”.