A superstiti vittima mafia spetta vitalizio, condannato Viminale
Sentenza Consiglio di giustizia amministrativa Sicilia, risarcimento 300mila euro per due donne
Il ministero dell’Interno dovrà risarcire con oltre 300mila euro due familiari di una vittima innocente di mafia, somma calcolata a copertura dell’assegno vitalizio mensile pari 1.033 euro per ciascuna di loro, maturato a partire dal 2016.
Lo ha stabilito il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (Cga) – estensore Sebastiano Di Betta, presidente Roberto Giovagnoli – ribaltando il pronunciamento del Tar di Palermo e accogliendo l’appello delle familiari di Michele Amico, il tabaccaio assassinato a Caltanissetta il 23 ottobre del 2003 per essersi ribellato al racket delle estorsioni.
Due anni fa la Corte d’appello di Caltanissetta aveva riconosciuto a tre familiari della vittima di mafia tutti i benefici di legge, sentenza alla quale il ministero non aveva fatto ricorso in Cassazione, pagando le spese processuali.
Si era opposto però al riconoscimento dell’assegno vitalizio contestando la procedura con la quale era stata avanzata la richiesta. I congiunti della vittima di mafia avevano fatto ricorso al Tar di Palermo che l’aveva respinto, il Cga invece ha accolto l’appello di due dei tre familiari. Per i giudici amministrativi “il giudizio non attiene a una comune controversia in materia di prestazioni economiche, ma investe un caso di rilevanza morale e istituzionale particolare, in cui la questione giuridica si intreccia con un’esigenza di giustizia sostanziale e di dignità civile”.
Per il Cga “le appellanti non agiscono per ottenere un beneficio economico aggiuntivo, ma per rivendicare la piena attuazione di un giudicato che ha riconosciuto loro lo status di familiari di una vittima innocente della mafia, status che – per sua natura – non si esaurisce in una somma di elargizioni, ma rappresenta il segno tangibile del vincolo che unisce lo Stato ai suoi cittadini quando questi ultimi subiscono, in prima persona, le ferite della violenza criminale”.
Per i giudici amministrativi “la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta si configura non come una mera pronuncia di condanna pecuniaria, bensì come un atto di riparazione istituzionale, con il quale lo Stato, attraverso il suo giudice naturale, riconosce e riafferma il debito di memoria e di sostegno nei confronti dei congiunti di chi ha perduto la vita a causa della criminalità organizzata”. E ancora: “il complesso normativo” è “fortemente ispirato al principio di eguaglianza sostanziale e di solidarietà costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.), in forza dei quali le vittime della criminalità organizzata devono ricevere una tutela piena, integrale e sistemica, equiparabile a quella prevista per le vittime del terrorismo”. Dunque “l’amministrazione non può invocare a proprio favore un difetto di specificazione determinato da un proprio modulo incompleto, né può utilizzare l’imprecisione terminologica del cittadino come strumento di esclusione del beneficio”.
“L’esclusione dello speciale assegno vitalizio per ‘difetto di istanza’ – si legge nella sentenza del Cga – si rivela dunque frutto di un formalismo eccessivo, incompatibile con il principio di effettività della tutela e con la natura solidaristica del beneficio”.




