Concetto al buio di Rosario Palazzolo
di Letizia Bilella
In una Palermo livida e spietata un ragazzino sta per essere rinchiuso dentro una stanza buia, segregato da due donne affinché muoia d’inedia.
Un’attesa claustrofobica e ricca di immagini rigurgitate da un vecchio televisore e pensieri che sembrano reali, in compagnia di un lumino che si consuma lentamente. E’ in questo tempo sospeso che ha inizio una lunga lettera a Gesù in forma di diario, sperando che nel frattempo quel simbolo del patimento si schiodi dalla croce e scenda, ascoltando e basta, senza giudicare, senza parlare, con nessuna espressione addosso.
Dentro al diario una storia altrettanto spietata di un padre silenzioso, di una madre crudele, di un prete che sembra buono e che buono non è, bravo soltanto a declamare precetti alti e distanzi come nuvole. Il tempo è relativo, il tempo è un’atmosfera più che un metro di misura sopra il quale i fatti accaduti vengono confessati senza la speranza di un perdono.
La verità, invece, è un concetto espresso al buio, invisibile, che risuona tra le mura per poi perdersi senza essere compreso. Una storia dove la speranza non esiste e al suo posto c’è solo una cupa disperazione narrata da una voce al buio che sa di morire. Dove il buio amplifica la forza drammatica del racconto e dove Concetto non è più un nome, ma il simbolo della verità che va taciuta, o meglio raccontata ad un Gesù attraverso un monologo trascritto in un diario testimone dell’assurda tragedia dell’uomo saldamente legato all’ipocrisia di una morale insensata spinta fino al parossismo della tragedia.
Palazzolo riversa nel libro il concetto dell’impossibilità della verità che non va raccontata, che se mai dovesse essere detta risulterebbe una bestemmia e un’offesa più grande di quella ricevuta. Appoggiandosi ad una struttura tutta nuova, complicata e contorta, dal respiro corto e spezzato, Concetto recluso al buio scrive una lunga lettera a quel Gesù ricettacolo del dolore umano, il più grande di tutti, che spieghi gli avvenimenti, nella speranza che almeno lui se ne stia zitto e non dica la sua, non sputi sentenze, non prenda una posizione nei suoi confronti.
L’aria di Palermo è solvente che prende alla gola anche da lontano, anche se i dettagli sono i grandi assenti. Arrivare alla fine di questo libro non garantisce la totale comprensione della storia. Quel linguaggio arriva al cervello prima e al cuore poi, dritto, sparato, senza equivoci. Concetto vive in uno dei tanti quartieri del centro di Palermo, ha un papà meccanico e una mamma insegnante e frequenta la Scuola Media Giuseppe Carducci.
Il suo è un quotidiano tranquillo ma due “tragedie” non lo renderanno più tale.