Cultura

Paolo Ciancimino, cantore della “dolorosa” Sicilia

Ricordate il palcoscenico dei cantastorie? Era la strada come strumento di condivisione e  da sempre location di manifestazioni le più varie.  I cantastorie, artigiani dell’arte spesso oggi  sottovalutati ,  hanno sfruttato la strada come  luogo privilegiato della condivisione, strumento potente per impattare  con il pubblico, per la divulgazione della cultura e del confronto su tematiche […]

Pubblicato 5 anni fa

Ricordate il palcoscenico dei cantastorie? Era la strada come strumento di condivisione e  da sempre location di manifestazioni le più varie. 

I cantastorie, artigiani dell’arte spesso oggi  sottovalutati ,  hanno sfruttato la strada come  luogo privilegiato della condivisione, strumento potente per impattare  con il pubblico, per la divulgazione della cultura e del confronto su tematiche sociali controverse.

Difficile oggi trovare cantastorie  itineranti legati alla tradizione orale a alla cultura popolare. La categoria   ha subìto in questi ultimi  anni profonde trasformazioni , diversissime oggi le modalità di fruizione anche se ancora, quei pochi rimasti, sanno essere  tramite culturale tra il popolo analfabeta e non internettiano e il mondo epico e poetico, restando attenti osservatori, sensibili alle ingiustizie  del tempo. Ne parliamo con Paolo Ciancimino, uno dei pochi rimasti.

Come e quando  nasce  Paolo Ciancimino come cantautore?

“Ho cominciato a comporre per caso. La mia prima canzone l’ho intitolata “La curina”, ossia la palma nana selvatica, canzone dedicata ad un pastorello che piangeva per il fratello morto mentre raccoglieva la curina. Da questo lamento, ho poi composto i versi nei lontani anni 70. L’episodio, invece, era avvenuto circa nel ’53”.

Quali  i ricordi che conserva delle sue esibizioni?

“I ricordi sono tanti, ovviamente. Quelli più belli sono legati alle prime volte che ti esibisci, quando ti ritrovi in contatto per il pubblico. Ricordo che la mia prima esibizione è stata ad Agrigento negli anni ’70. Allora avevo musicato anche una poesia del mio amico poeta Ignazio Russo. Fu questo motivo che mi portò allora ad Agrigento, ho cantato per la prima volta in una galleria in via Madonna degli Angeli, una traversa di via Atenea. Lo spettacolo era intitolato “Il Caberino”, anche se non ricordo con precisione, show condotto da Mario Gaziano, dove si esibivano pure tanti altri artisti. Quei primi applausi mi hanno incoraggiato a continuare”.

Le occasioni più importanti delle sue esibizioni?  

“Mi sono esibito in tante manifestazioni. Nelle più famose ho conosciuto anche Rosa Balistreri e Ignazio Buttitta. Una delle più belle che ricordo con piacere si è svolta a Favignana durante il primo festival dedicato alla famosa tonnara. In quella occasione ho cantato e dedicato dei versi al capo Rais della Tonnara, versi che adesso non mi ricordo più. Quanto tempo è passato… Quei versi erano stati composti dal noto regista Pino Correnti. Quella manifestazione fu ripresa in parte dalla Rai. Un’altra manifestazione importante a cui ho preso parte è stata quella dove ho conosciuto diversi personaggi della Rai regionale, durante una mostra del nostro celebre artista Gianbecchina a Bagheria, nella villa cattolica di Guttuso. Sono rimasto in contatto con diversi artisti del palermitano. Ho conosciuto in queste occasioni pure l’artista Ciccio Busacca, che poi anni dopo ho ospitato pure a casa mia a Sciacca, insieme a sua moglie. L’ho invitato a casa mia in occasione di uno spettacolo promosso a Sciacca negli anni ’80”.

Quali i temi delle sue cantate e  i brani più  richiesti?

“Le canzoni che canto sono alcune composte da altri, e molte  altre da me. Si tratta di brani tratti dalle poesie di Ignazio Russo. Le più famose sono Marinareddu e Quannu u suli forti coci. Le altre sono canti di uomini siciliani che ho recuperato da persone anziane e che ho musicato come “Palummedda” che è per esempio un brano degli emigranti, quando i nostri conterranei partivano per l’America. E tante altre come “E minni vaju e minni staju ennu”, il lamento di un emigrante prima di partire. Poi c’è “Mamma nun mi chianciti”, altri versi trovati e tratti da anonimi siciliani. Ho un repertorio vasto, con componimenti popolari e alcuni inediti”.

Cosa resta oggi dei cantautori della dolorosa Sicilia?

“Credo che ne siano rimasti pochi di questo genere, la mia speranza è che quei pochi rimasti raccontino con onestà storie vere, testimonianze che fanno crescere la Sicilia. Senza passato non ci può essere presente. Raccontare queste storie, quelle dei più bisognosi, che a quei tempi erano costretti a lasciare i loro cari per una vita migliore, è una missione per me e spero anche per gli altri. Cantare i versi dei miei antenati mi gratifica anche perché alcuni di loro sono rimasti in America. Di quel mondo chiaramente rimane poco, con me, con Rosa Balistreri e pochi altri”.

Ne rimangono ancora  altri cantautori  di questo genere?

“Credo che sono pochi quelli che mi somigliano in questo genere. Per come canto ed interpreto le mie canzoni forse sono unico nel mio genere. Ho sempre guardato con ammirazione a Rosa Balistreri, spero di somigliare un po’ a lei. Non conosco altri della sua statura artistica. E’ un genere un po’ in disuso che porto avanti però con amore e passione”.

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