Agrigento

Inchiesta “Buche d’oro”, il favarese Pullara interrogato dal Gip: risponde e si difende

Una tangente di 18 mila euro in contanti per ottenere una attestazione “truccata” da parte di tre funzionari Anas infedeli per alcuni lavori sulla strada statale 284 Occidentale Etnea. E’ questa l’accusa mossa dalla Procura di Catania all’imprenditore favarese Calogero Pullara, 40 anni, legale rappresentata dell’omonima ditta edile, finito in manette per corruzione in concorso […]

Pubblicato 5 anni fa

Una tangente di 18 mila euro in contanti per ottenere una attestazione
“truccata” da parte di tre funzionari Anas infedeli per alcuni lavori sulla
strada statale 284 Occidentale Etnea.

E’ questa l’accusa mossa dalla Procura di Catania all’imprenditore
favarese Calogero Pullara, 40 anni, legale rappresentata dell’omonima ditta edile,
finito in manette per corruzione in concorso insieme ad altre sette persone
nell’ambito del secondo filone dell’inchiesta “Buche d’oro”.

L’uomo è stato interrogato per rogatoria stamattina dal Gip del Tribunale
di Agrigento, Luisa Turco ed ha riposto alle domande del giudice e si difende.

Pullara, assistito dagli avvocati Giuseppe Barba ed Emilio Amoroso, ha
fornito la sua versione dei fatti che adesso verrà valutata dagli inquirenti
per gli eventuali ulteriori sviluppi.

Insieme a Pullara sono stati arrestati il geometra Gaetano Trovato, 54
anni, dipendente Anas capo nucleo B del Centro di manutenzione A dell’Area
tecnica compartimentale; i colleghi dell’Anas Giuseppe Panzica, 48 anni di
Caltanissetta, Riccardo Carmelo Contino, 51 anni di Catania, l’ingegnere
Giuseppe Romano, 48 anni di Caltagirone (tutti e tre ai domiciliari perché
arrestati nel primo filone d’inchiesta); gli imprenditori Pietro Matteo
Iacuzzo, 50 anni, e i nisseni Salvatore Truscelli, 56 anni e Roberto Priolo, 48
anni. Disposto anche l’interdizione dallo svolgimento di pubblico ufficio nei
confronti dell’ingegnere Antonino Urso di 39 anni, capo centro manutenzione A
dell’area compartimentale Anas di Catania. E sono proprio le dichiarazioni di
quest’ultimo che, sommato al percorso di “collaborazione” già attuato
dall’ingegnere Romano, hanno dato il via alla seconda tranche dell’inchiesta “Buche
d’oro”:  un “patto criminale” –
lo chiamano gli investigatori e i magistrati di Catania – per incassare
mazzette su lavori non fatti ad opera d’arte o mai completati.

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