Mani Pulite, un’inchiesta spiegata altrimenti
Di Gaetano Cellura L’episodio milanese da cui tutto inizia – l’arresto (il 17 febbraio del 1992) di Mario Chiesa nel suo ufficio della “Baggina”: la mazzetta finita nello scarico del bagno, fatto sempre negato dall’accusato – diventa marginale man mano che l’inchiesta prende piede e coinvolge quasi tutta la classe politica italiana: da Milano a […]
Di Gaetano Cellura
L’episodio milanese da cui tutto inizia – l’arresto (il 17 febbraio del 1992) di Mario Chiesa nel suo ufficio della “Baggina”: la mazzetta finita nello scarico del bagno, fatto sempre negato dall’accusato – diventa marginale man mano che l’inchiesta prende piede e coinvolge quasi tutta la classe politica italiana: da Milano a Napoli e a Palermo, dove intanto la mafia prepara le sue stragi realizzate tra maggio e luglio di quello stesso anno fatidico e funesto.
Siamo tornati spesso in tutti questi anni, e ora ne sono passati trenta esatti, sull’inchiesta Mani Pulite, la più grande per numero di persone coinvolte, di arresti in carcere e di condanne inflitte: e ognuno di noi con il proprio diverso, se non contrario, punto di vista, giustizialista in prevalenza.
C’era chi sosteneva, senza aver fino ad oggi cambiato giudizio, che la misura era colma, la corruzione politica tanta e tale che soltanto la magistratura potesse porvi rimedio con la sua azione “salvifica”. E c’era chi, invece, e in nome dello stato di diritto violato, denunciava gli abusi giudiziari sulla carcerazione preventiva. E di conseguenza invocava quella riforma della giustizia – la separazione della carriera dei magistrati per prima – di cui ancora oggi si discute.
Più dell’arresto di Chiesa, i nostri ricordi di quegli anni si soffermano su altro. A cominciare dalla gogna mediatica, indegna di un paese civile, in cui finirono molti imputati eccellenti – Craxi soprattutto, il lancio delle monetine contro di lui – alcuni dei quali non seppero resistervi, suicidandosi in carcere e fuori dal carcere. Si soffermano anche sull’interrogatorio del leader socialista al processo Cusani. Interrogatorio sul finanziamento illecito ai partiti durante la Prima Repubblica. A tutti i partiti, anche a quelli non toccati dall’inchiesta. E da Craxi esposto in tutti i suoi particolari come un fatto di sistema che non escludeva nessuno. Né la politica né l’imprenditoria. Oppure il suo discorso in parlamento, apprezzato e condiviso da tutti i parlamentari, tuttavia incapaci di fargli da sponda. Si soffermano ancora sullo scontro tra poteri dello Stato, fino a quel momento in armonia, in cui uno prevale sull’altro sfruttandone il momento di crisi e di debolezza.E questo momento incomincia con la caduta del Muro di Berlino. Con la fine di un’epoca. Dal ’92 in poi gli effetti di un’epoca al suo termine si colgono visibilmente. Quel che i grandi poteri finanziari avevano già programmato dall’inizio degli anni ottanta – le grandi privatizzazioni italiane, e cioè la svendita delle imprese pubbliche del paese: un paese che, grazie all’intervento pubblico nell’economia aveva vissuto il suo miracolo economico – trova campo libero ora che, a colpi di inchiesta, quella classe politica che si sarebbe opposta al disegno egemonico della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica, viene messa fuori gioco e sostituita da un’altra. Al nuovo ordine liberale e liberista sottomessa. Il ’92 dunque non fu solo l’anno di Mani Pulite. Ma dei Patti di Maastricht e della grande dismissione delle imprese pubbliche italiane decise dai “giganti” della terra. E cioè della perdita dei primi pezzi della sovranità nazionale di cui la rinuncia alla nostra moneta avrebbe rappresentato il culmine. Ѐ anche da questo punto di vista che deve essere letto quanto accaduto trent’anni fa. C’era, dietro l’inchiesta giudiziaria, un mondo già cambiato, un indebolimento totale della politica, una perdita di diritti sociali e del lavoro di cui la globalizzazione mercatistica diventava padrona assoluta.