“Non ci fu sviamento doloso di potere”, ecco perché è stato prosciolto l’ex prefetto Diomede
L'ex prefetto di Agrigento era accusato di concorso esterno e abuso di ufficio nell'inchiesta su Girgenti Acque: le motivazioni
“La valutazione complessiva delle risultanze investigative e dei documenti acquisiti nel corso dell’udienza preliminare non consente di affermare che l’esercizio del potere discrezionale sia trasmodato in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici.” È questo uno dei passaggi più significativi contenuto nelle motivazioni della sentenza (287 pagine depositate lo scorso 18 agosto) con cui il Gup Micaela Raimondo ha disposto lo scorso mese il proscioglimento dell’ex prefetto di Agrigento, Nicola Diomede, coinvolto nella maxi inchiesta su Girgenti Acque. Diomede, all’epoca dei fatti Prefetto in carica, era accusato di concorso esterno per associazione a delinquere e abuso di ufficio e per tale motivo la Procura di Agrigento ne aveva chiesto il rinvio a giudizio. L’ex Prefetto di Agrigento era ritenuto dagli inquirenti una delle figure principali dell’intera inchiesta.
Il giudice Raimondo, al termine di una lunga udienza preliminare, ha invece disposto il proscioglimento poiché “tutte le argomentazioni esposte depongono non soltanto nel senso dell’insussistenza del delitto di abuso di ufficio, ma anche dell’impossibilità, alla luce della nuova regola di giudizio e dei principi in materia di concorso esterno per associazione a delinquere di formulare una ragionevole previsione di condanna in ordine al delitto di concorso esterno alla luce della nuova regola di giudizio che governa l’udienza preliminare.”
Nicola Diomede, rimosso dall’incarico di Prefetto proprio in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta, era sostanzialmente accusato di aver concesso la liberatoria antimafia a Girgenti Acque “valutando in maniera non corretta gli elementi fattuali riportati nei documenti istruttori acquisiti nel procedimento amministrativo, che erano indicativi di un pericolo di infiltrazione mafiosa e non tenendo conto del parere unanime per il rilascio di una interdittiva antimafia espresso dagli appartenenti di tutte le forze di polizia intervenuti nella Riunione Tecnica di Coordinamento“.
Il Gup Raimondo, in un articolato e complesso ragionamento giuridico, va oltre e spiega nel dettaglio il perché “non è possibile affermare che il Prefetto pervenne ad una non corretta valutazione degli elementi fattuali nel corso dell’istruttoria” a partire dalle stesse decisioni del tribunale di Agrigento con le quali – nel febbraio e nell’ottobre 2016 – ha rigettato le proposte di misura di prevenzione personale e patrimoniale avanzate nei confronti di Marco Campione. “Tale dato – scrive il Gup Raimondo – è di non poco conto se si considera che l’autorità prefettizia è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando tipizzati dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza e attualità per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa in base ad una struttura bifasica non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di prevenzione personale”.
I giudici di prevenzione, già nel febbraio 2016, avevano rilevato che “gli unici elementi in linea di principio per affermare la pericolosità sociale di Marco Campione si riferivano al periodo temporale 1996-97 e 2002 e che nulla di sintomatico era emerso né per il periodo pregresso, né in relazione agli ultimi quattordici anni.” Per questo motivo, nell’ottica di un giudizio di pericolosità sociale, apparivano irrilevanti: una C.n.r della Guardia di Finanza nel luglio 2015 per reato di abuso di ufficio e false comunicazioni sociali nei confronti di Campione; la pendenza di un procedimento penale a carico del fratello Massimo per i reati di concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità; le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati, anche all’esito del raffronto dei dati emergenti dalle indagini “Appalti Liberi, Alta Mafia e Ombra” con gli esiti di una serie di approfondimenti penali nei quali risultava coinvolto Campione, non soddisfacevano i meno stringenti criteri probatori dettati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di chiamata in correità nell’ambito del giudizio di prevenzione.